giovedì 29 aprile 2010

Residente (sotto occupazione) altrove / Accesso negato: L'Ordine No. 1650 relativo alla Prevenzione dalle Infiltrazioni emesso dall'esercito israeliano

di Amira  HASS, 25-4-2010. Tradotto da Curzio Bettio, Tlaxcala
Definire un Palestinese con una residenza nella Striscia di Gaza come un “infiltrato” punibile se trovato nella West Bank – come presunto da un’ordinanza militare attualmente messa in applicazione – è solo un ulteriore anello di una catena di passaggi che Israele ha compiuto, il cui effetto cumulativo è di considerare la Striscia di Gaza come entità separata dalla società palestinese nel suo complesso.
Le limitazioni di spazio consentono solo un esemplificativo elenco di misure di questa natura. Tuttavia anche l’osservazione di questo elenco in forma ridotta può servire per ricordare quello di cui si ha bisogno per analizzare la totalità delle norme dell’occupazione militare nel contesto delle loro precedenti e la loro applicazione sul campo.  

Infatti, questo è quello che hanno fatto gli esperti di diritto dell’organizzazione Hamoked, Centro per la Difesa dell’Individuo, quando hanno messo in guardia contro le implicazioni del nuovo Ordine No. 1650 relativo alla Prevenzione dalle Infiltrazioni (Emendamento No. 2).
1972
Le Forze di Difesa di Israele consentono (Nota bene: loro danno il permesso!) ai Palestinesi di muoversi attraverso tutta la regione  (Israele, la Striscia di Gaza e la West Bank), utilizzando un “permesso d’uscita generale”. La speranza in Israele è che l’integrazione economica provocherà il venir meno delle aspirazioni nazionali. Ma il risultato, non intenzionale, si risolve nella libertà di movimento per tutti i Palestinesi. Per la prima volta dal 1948, i Palestinesi da un capo all’altro di Israele e dei territori fanno l’esperienza di essere un popolo che vive all’interno dei medesimi confini, sotto il medesimo regime. La famiglia unisce, il lavoro unisce, l’amicizia e la scuola uniscono, - i vincoli si forgiano e si rinnovano da entrambi i lati della Linea Verde.
La regola generale: “Il diritto di tutti i Palestinesi alla libertà di movimento viene rispettato, fatta eccezione per alcune categorie determinate dalle autorità di Israele.”
1988-1989
La prima Intifada: viene introdotta nella Striscia di Gaza una carta magnetica, valida per un anno, per coloro che hanno l’autorizzazione speciale ad entrare in Israele. In assenza di posti di blocco e controllo, risulta relativamente facile aggirare questa restrizione.
1991
15 gennaio, alla vigilia della Guerra del Golfo: viene cancellato il permesso di uscita generale dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza. Da adesso, è necessario un permesso individuale.
Gli studenti di Gaza, impegnati negli studi nella West Bank non ricevono più i permessi di entrare in Israele e non possono quindi frequentare le scuole. Famiglie “separate” (tra la West Bank e Gaza) si possono vedere fra loro sempre meno, in assenza di permessi.
La polizia va alla ricerca quotidiana nelle città di Israele di lavoratori palestinesi e controlla se sono in possesso di permessi validi per stare in Israele (come rivela l’organizzazione Worker's Hotline, spesso persone vengono ritenute trasgredire al permesso, se colte in un cinema o in una caffetteria e non sul posto di lavoro indicato dal permesso.) Centinaia sono arrestati e multati, sebbene generalmente la polizia sia facilmente elusa. Inoltre, la polizia non viene rafforzata a Gerusalemme Est e la gente si è convinta che qui non c’è bisogno di un permesso per rimanere nella loro capitale religiosa, culturale ed economica.
Colloqui di pace sono intrapresi alla Conferenza di Madrid. 
1993
Marzo. Viene imposta una “chiusura generale” sui territori (i permessi esistenti vengono revocati), dopo di che il divieto di vivere a Gerusalemme senza permesso individuale è applicato in maniera più stringente (comunque, è erroneo da parte dei Cisgiordani affermare attualmente che la politica di chiusura odierna abbia avuto inizio nel marzo 1993).
Settembre. La Dichiarazione di Principi fra l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina ed Israele stabilisce che entrambe le parti riconoscono Gaza e la West Bank come un’unica entità territoriale. 
Viene messa in atto un’intensa attività costruttiva all’uscita settentrionale della Striscia di Gaza, che si realizza in un checkpoint che controlla ogni giorno in modo asfissiante migliaia di persone.  Questo posto di controllo viene gestito dall’Amministrazione Civile e dalle Forze di Difesa di Israele. Gli altri punti di attraversamento della Striscia di Gaza sono stati dismessi.
La chiusura diventa una realtà permanente che esiste al presente. Il numero di permessi di viaggio che Israele garantisce varie di volta in volta, ma il principio rimane lo stesso: viene negata la libertà di movimento a tutti i Palestinesi, fatta eccezione per coloro che rientrano in un numero di categorie determinato da Israele (lavoratori, uomini di affari, ammalati, collaborazionisti, funzionari dell’Autorità Palestinese, ecc.) 
1994
Maggio. I poteri civili a Gaza vengono trasferiti da Israele ai Palestinesi. Viene trovata una parziale soluzione al problema dei permessi di uscita: i residenti  a Gaza escono attraversando il varco di Rafah, da qui vanno verso la Giordania ed entrano nella West Bank via il Ponte di Allenby. Questa soluzione è usata soprattutto dagli studenti e dalle persone che hanno famigliari in Cisgiordania. 
1995
Ottobre. L’Accordo ad Interim (vengono trasferiti i poteri civili anche nella West Bank ). La clausola 28 dell’Accordo stabilisce che i Palestinesi hanno l’autorità di cambiare un indirizzo sulla carta d’identità, ma la variazione deve essere comunicata all’Amministrazione Civile.
1996
Contrariamente a quello che era stato stabilito negli Accordi di Oslo, funzionari israeliani dell’Amministrazione Civile informano i Palestinesi che un cambiamento di indirizzo da Gaza alla West Bank comporta l’autorizzazione israeliana. L’autorizzazione viene concessa solo ad alcuni fra coloro che sollecitano il cambio di indirizzo e questo avviene secondo criteri oscuri.
1997
Agli abitanti di Gaza viene impedito di uscire via il Ponte di Allenby o di passare da qui per entrare nella West Bank, senza essere in possesso di permessi individuali concessi da Israele. 
1999
Ottobre. Viene introdotto un “passaggio di sicurezza” fra Gaza e la West Bank lungo un percorso meridionale. 
2000
Fine di settembre. Esplode la seconda Intifada. Il passaggio di sicurezza viene chiuso.
Israele impedisce che gli studenti di Gaza vadano a frequentare le scuole in Cisgiordania. 
Israele congela i cambi di indirizzo da Gaza alla West Bank.
2001
Entrare nella Striscia di Gaza per chiunque non sia di Gaza viene ridotto al minimo (in genere nei casi di morte di parenti di primo grado).
2002
Per la prima volta, le autorità dichiarano che i cittadini di Gaza presenti nella West Bank sono residenti illegali. Molti vengono deportati a Gaza, quando scoperti casualmente durante controlli di documenti di identificazione o nell’attraversamento dei checkpoint.
2004
Novembre. Le forze armate israeliane irrompono in un appartamento a Bir Zeit, nei pressi di Ramallah, arrestano e deportano a Gaza quattro studenti di ingegneria. 
2005
Gli attraversamenti di “sganciamento” della Striscia di Gaza sono dichiarati varchi “internazionali”.
2007
L’uscita da Gaza è consentita solo in casi umanitari estremi (e a coloro che sono in connessione con l’Autorità Palestinese). 
Per la prima volta dal 1967, Israele istituisce un permesso che consente di rimanere nella West Bank ai cittadini di Gaza che si trovano nella West Bank (in linea con il permesso di residenza richiesto a coloro che si trovano in Israele). Molte richieste di permesso sono respinte. Migliaia di Palestinesi senza permesso sono scoraggiati ad attraversare i varchi di controllo interni della  West Bank, per paura di essere presi e deportati. Perciò, vivono come prigionieri nelle loro città di residenza.
2009
Marzo. Lo Stato di Israele dichiara che i Palestinesi di Gaza non hanno titoli per vivere nella Cisgiordania. Questo avviene tramite una nuova normativa che viene alla luce grazie alle petizioni di Hamoked, Centro per la Difesa dell’Individuo, rivolte all’Alta Corte di Giustizia. 
Lo Stato insiste nel concedere permessi a risiedere nella West Bank solo per i seguenti gruppi: ammalati cronici che possono essere curati solo nella Cisgiordania; minori sotto i 16 anni con solo un genitore che vive in Cisgiordania, e minori che non hanno parenti che li possano accudire nella Striscia di Gaza; persone oltre i 65 anni che richiedono cure infermieristiche e non hanno chi li possa assistere nella Striscia. Tutti gli altri – coloro che sono in salute, non sono orfani, non sono persone anziane che vivono da sole senza assistenza – non hanno il diritto di vivere nella West Bank.
2010
Aprile. Un’ordinanza militare con effetto immediato definisce tutti coloro che risiedono nella West Bank senza un permesso come “infiltrati” e delinquenti che devono essere puniti. 


Originale da: Haaretz-Otherwise occupied / Access denied
Articolo originale pubblicato il 25 April 2010
L’autrice

Curzio Bettio è membro di Tlaxcala, la rete internazionale di traduttori per la diversità linguística. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

URL di questo articolo su Tlaxcala:
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lunedì 12 aprile 2010

Controdeduzioni presentate all'assemblea annuale degli azionisti della Bayer del 30 aprile 2010

Argomenti di contestazione: le emissioni di anidride carbonica CO2, sostanze rischiose per la salute, contaminazione da organismi geneticamente modificati.
Comunicato della Coalizione contro i pericoli derivanti dalla BAYER, 24-3-2010. Tradotto da  Curzio Bettio, Tlaxcala
La Coalizione contro i pericoli derivanti dalla BAYER ha presentato delle controdeduzioni all’assemblea annuale degli Azionisti della Bayer che si terrà a Colonia/Germania il 30 aprile 2010.   La Coalizione e altri gruppi che si battono per la giustizia sociale e per la protezione ambientale discuteranno le loro proposte all’interno dell’Assemblea.
Le contestazioni importanti riguarderanno gli incidenti negli impianti della Bayer, le emissioni di  CO2 , gli effetti collaterali del nuovo anticoncezionale Yaz (Bayer Schering Pharma)*, i pesticidi nocivi alla salute e la contaminazione da OGM. 
La società ha ora pubblicato le controdeduzioni sul suo sito web: www.asm2010.bayer.com/en/countermotions.aspx  (“Download - scaricabile”).
Integrale delle controdeduzioni:
Assemblea annuale degli azionisti della Bayer del 30 aprile 2010  
Controdeduzione all’articolo 2: Le azioni dei membri del Comitato Direttivo non vengono sanzionate
Motivazione: Il Gruppo BAYER continua a violare le norme sulla responsabilità dell’amministrazione societaria. Di questo porta la responsabilità il Comitato Direttivo.
Ecco una selezione di esempi, i più recenti:
• Bayer ama presentare se stessa come una società impegnata nel campo della protezione ambientale, con particolare riguardo alla protezione climatica.   
Tuttavia, le emissioni annuali di anidride carbonica CO2 imputabili al Gruppo sono decisamente elevate, appena sotto gli 8 milioni di tonnellate metriche (1 metric ton = 1000 kg) ed è improbabile che possano essere abbattute entro il 2020. 
Emissioni di questa entità sono incompatibili con una effettiva protezione climatica.
Peggio ancora, con riguardo a diversi impianti Bayer, vi sono progetti per la costruzione di impianti per la produzione di energia alimentati a carbone e a rifiuti, che avranno un inaccettabile impatto sull’ambiente, con l’emissione di sostanze nocive e di milioni di tonnellate di CO2.
La Bayer argomenta di non portare la responsabilità di questi investimenti e questo lascia veramente perplessi: sebbene gli impianti per la produzione di energia vengano costruiti da compagnie di elettricità, la Bayer fornirà i terreni ed intende acquistare una larga parte dell’energia prodotta. 
Tanto per capire, l’impianto per la produzione di energia alimentato a carbone di Krefeld-Ürdingen, che svilupperà annualmente più di 4 milioni di tonnellate di CO2 , verrebbe messo in funzione da  Currenta, una società però controllata da Bayer.
Con una vita operativa oltre i 50 anni, questi impianti avranno un impatto negativo pesante sul clima e sull’ambiente ben al di là della seconda metà del secolo ed inoltre ostacoleranno gli investimenti indispensabili alle misure di risparmio energetico (evitare processi di produzione ad alta intensità energetica, accrescere l’utilizzazione del calore disperso) e all’uso di fonti di energia rinnovabili.
L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il Gruppo consulente intergovernativo sul mutamento climatico dell’ONU, raccomanda una drastrica riduzione delle emissioni di CO2 .
L’IPCC dichiara che i paesi industrializzati devono ridurre dell’80-95 % le emissioni entro il 2050 per contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2°C. Solo in questo modo sarà possible impedire i più drammatici effetti della variazione climatica, come lo scioglimento della calotta di ghiaccio della Groenlandia.  
Questo comporta che la Bayer deve realizzare una credibile inversione di tendenza energetica. Quello che risulta necessario è un programma a largo raggio per ridurre le emissioni di CO2 di almeno l’80% entro il 2050, ma senza l’impiego di tecnologie ad alto rischio come la CCS, per cattura e sequestro di carbonio.
Inoltre, la Bayer deve bloccare la costruzione di impianti per la produzione di energia alimentati a carbone e a rifiuti in tutti i suoi siti, deve rifiutare l’uso di energia elettrica generata da impianti alimentati a lignite e rendere pubbliche la composizione dell’energia e le emissioni per ogni sito Bayer separatamente (comprese le forniture).   
• Uno degli scandali più terribili nella storia della Bayer è il complice contagio di emofiliaci con il virus HIV.
Emofiliaci erano stati contagiati attraverso prodotti ematici della Bayer fino al 1986, anche se erano disponibili dal 1982 metodi per inattivare il virus attraverso trattamento termico. Anche dopo la messa al bando in Europa di lotti non trattati, questi venivano esportati in Asia.
Dato che le vittime sono sopravvissute per un tempo abbastanza lungo, stanno per esaurirsi i fondi di indennizzo messi a disposizione dal governo della Germania, dagli stati federali e dall’industria.  Di conseguenza, la Bayer ed altre società coinvolte non vogliono più ripristinare questi fondi; anzi, pretendono di far assumere l’onere principale al sostegno della generalità pubblica.
Come principale parte in causa responsabile, è la Bayer che dovrebbe assumersi l’onere di dare continuità agli indennizzi. Le vittime, che non hanno ricevuto mai compensazioni dalla Bayer, devono almeno essere in grado di continuare a vivere dignitosamente.
• La Bayer è coinvolta tuttora nell’alterazione dei prezzi. Per questa ragione, in autunno le autorità della Romania hanno perquisito gli uffici della Bayer. In Italia, attualmente si stanno svolgendo inchieste contro questa società. La Coalizione contro i pericoli derivanti dalla BAYER ha pubblicato un elenco di cause antimonopolistiche che vedono il coinvolgimento della Bayer sul sito web    www.cbgnetwork.de/2355.html (in tedesco). Questo elenco contiene informazioni sul pagamento di ammende e sulla durata di vari accordi di cartello per stabilire i prezzi in regime di monopolio.
• Recentemente, il numero di citazioni in giudizio sollevate dalla Bayer nei confronti di operatori su siti Internet di discussione è aumentato. Gli editori della rivista online LifeGen, per esempio, sono stati minacciati di venire portati in sede giudiziaria per avere ripreso un documento della Coalizione contro i pericoli derivanti dalla BAYER  sugli eccessivi effetti collaterali di farmaci Bayer per il controllo delle nascite. Malgrado le pesanti minacce (“di azioni legali civili e penali”), LifeGen ha conservato la sua posizione e ha rifiutato di rimuovere l’articolo dal suo sito web. Procedimenti legali non sono mai stati posti in essere, e così l’azione della Bayer si è rivelata meramente come una pura e semplice minaccia agli editori. Tuttavia, altri operatori su Internet si sono sottomessi a minacce di questa natura per il timore di dovere sostenere possibili costi. Questo costituisce un chiaro attacco alla libertà di stampa con l’intenzione di imporre uno stop alla documentazione critica.
• Esistono siti industriali a contaminazione pericolosa disseminati dal Gruppo Bayer in giro per il mondo. Attualmente, è stata portata alla luce una discarica interrata nello Stato usamericano dell’Oregon dove diversi milioni di litri di erbicidi sono stati depositati per quarant’anni. La Bayer assumerà a suo carico solo la quarta parte dei costi di bonifica pari a 2,4 milioni di dollari (vedi   www.cbgnetwork.org/3070.html).
Questo vale anche per il quartiere residenziale Dhünnaue di Leverkusen, dove il bilancio pubblico dovrà sostenere la maggior parte dei costi.
Controdeduzione all’articolo 3: Le azioni dei membri del Collegio di Controllo non vengono sanzionate  
Motivazione: Il Collegio di Controllo non adempie adeguatamente alle sue funzioni di sorveglianza sull’operato del Comitato Direttivo, e quindi le sue azioni non dovrebbero essere ratificate.   
A seguire, alcuni esempi dell’irresponsabile politica societaria che viene tollerata dal Collegio di Controllo:   
• Nel sito di Krefeld, la Bayer produce ancora gas cloro attraverso il processo obsoleto mediante amalgama, da cui viene liberato mercurio altamente tossico. Quasi tutti gli altri produttori da tanto tempo si sono convertiti a processi che hanno un minor impatto ambientale. Infatti, secondo la Convenzione OSPAR (per la protezione dell’ambiente marino dell’Atlantico nordorientale) tutte le emissioni di mercurio dovrebbero essere bloccate entro il 2010.  Ora, per la Bayer sarà impossibile adeguarsi a questa scadenza. Alla fine, la società ha assunto una posizione più morbida: la produzione mediante il processo all’amalgama verrà gradualmente ridotta e terminerà entro il 2014.  Tuttavia, questo è avvenuto con almeno dieci anni di ritardo. Per di più, anche un moderno impianto per il cloro risulta altamente problematico, visto che la maggior parte del gas serve alla produzione di fosgene. Il fosgene, gas altamente tossico, a sua volta viene usato a Krefeld per la produzione di policarbonati, sebbene da anni siano disponibili processi liberi da fosgene. La Bayer ha da tanto tempo rifiutato di convertirsi a metodi di produzione sicuri che non utilizzano il fosgene.  
• La Bayer è stata costretta in diverse circostanze a pagare milioni di dollari di ammenda negli Stati Uniti a causa della contaminazione di raccolti di riso provocata da varietà geneticamente modificate. In totale, sono 3.000 i coltivatori che devono essere indennizzati.
La varietà di riso LL601, resistente all’erbicida glufosinato della Bayer, ha fatto la sua comparsa nel mercato mondiale nel 2006, sebbene non avesse ricevuto l’approvazione. Il danno si colloca su più di un miliardo di dollari. Malgrado ciò, la Bayer rifiuta di indennizzare tutti coloro che sono stati colpiti. Ancora peggio: la Bayer continua nel suo tentativo di far approvare dall’Unione Europea la varietà LL62, anch’essa resistente al glufosinato.  
Il riso LL viene destinato ad essere coltivato principalmente in Asia, dove sono risultate inevitabili la contaminazione e la sostituzione delle varietà tradizionali di riso. La biodiversità e la sicurezza alimentare sono messe a rischio. Le coltivazioni su larga scala avranno come risultato un incremento delle piante infestanti e un uso accresciuto di pericolosi pesticidi (per ulteriori informazioni al sito: www.cbgnetwork.org/3193.html).
• Antidolorifici come l’Aspirina presentano molti e gravi effetti collaterali.
Nei soli Stati Uniti, ogni anno, 16.500 persone muoiono per ulcere allo stomaco per uso di medicinali antidolorifici. Dati questi rischi, il Federal Institute for Drugs and Medical Products della Germania ha raccomandato prescrizioni obbligatorie per le confezioni di Aspirina a formato grande. Una regolamentazione di questo tipo è già in vigore per il paracetamolo. 
La Bayer sta cercando di impedire questa regolamentazione e conduce una propaganda in suo favore fra i farmacisti e i consumatori perchè le sia consentito continuare a vendere confezioni da 60 compresse senza prescrizione medica.
• Il Pentagono acquista farmaci per un valore di sette miliardi di dollari ogni anno.
Perciò, la Bayer invita regolarmente funzionari dell’esercito degli Stati Uniti ai congressi e ad eventi di informazione. Attualmente, l’organizzazione statunitense Public Integrity ha pubblicato una relazione che illustra nei dettagli queste uscite fatte dagli impiegati del Pentagono. Negli ultimi dieci anni, sono stati pagati dalle corporation 22.000 viaggi di questo tipo, il 40 % di questi presso industrie farmaceutiche. Nell’elenco delle spese da parte di compagnie farmaceutiche, la Bayer occupa il decimo posto. Promozioni di mercato di questa natura non dovrebbero essere accettabili. Una compagnia come la Bayer, che ha una disgraziata tradizione come inventore di agenti chimici per uso bellico, non dovrebbe fare business con le forze armate.
(vedi www.publicintegrity.org/projects/entry/1421).
• Il progettato oleodotto CO (Crude Oil – petrolio greggio) che attraversa lo stato tedesco del Nord Reno-Westfalia presenta gravi rischi per i residenti nelle sue vicinanze. Non è stata prodotta alcuna prova che il progetto sia di pubblico beneficio. Invece è risultato che la Bayer ha ripetutamente omesso di soddisfare i requisiti indicati nel bando di approvazione del progetto stesso.  
Ad esempio, la costruzione è iniziata malgrado l’assenza della certificazione che il territorio era libero da agenti di natura bellica e sono stati utilizzati tubi con pareti dallo spessore sottile di acciaio di qualità non approvata.  
Il Servizio Geologico del Nord Reno-Westfalia ritiene che “non sia stata adeguatamente testata” la resistenza dell’oleodotto ad eventuali movimenti sismici. 
L’alta corte amministrativa del Münster e il tribunale amministrativo di Düsseldorf hanno parimenti individuato insufficienze significative di progettazione e quindi hanno fatto opposizione all’avanzata dell’opera. 
In definitiva, la Bayer deve mettere una pietra sopra al progetto e costruire un impianto moderno per la produzione di CO a Krefeld. Questo dovrebbe evitare completamente qualsiasi rischio alla popolazione lungo il percorso dell’oleodotto. Il principio che le sostanze pericolose devono essere prodotte solo nei siti di utilizzo deve essere applicato in tutte le situazioni.
(per approfondimenti a : www.cbgnetwork.org/2405.html).
• In un’industria gestita dalla Bayer CropScience ad Ankleshwar, India, è avvenuto un serio incidente all’inizio del marzo 2010. In seguito ad un incendio, si è sviluppata una nube di gas altamente tossici ed un tecnico è morto. L’incidente è avvenuto in un impianto di produzione del pesticida ad alta tossicità, l’Ethoprop. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’Ethoprop come “estremamente pericoloso” e lo colloca in classe 1 relativa alle sostanze estremamente tossiche. 
Già dal 1995, la Bayer aveva annunciato che avrebbe rimosso dal mercato tutti i reagenti e i prodotti  di classe 1, ma ha mancato di mantenere le sue promesse.
Un uso sicuro di sostanze con attività altamente pericolosa, come l’Ethoprop, è impossibile, particolarmente in molti paesi dell’emisfero meridionale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che il numero degli avvelenati da pesticidi all’anno si aggiri dai 3 ai 25 milioni.
Gli impianti della Bayer in India, specialmente quelli di Vapi, sono tristemente famosi per le loro emissioni altamente inquinanti. (vedi anche: www.cbgnetwork.org/3296.html).
Per ulteriori informazioni vi preghiamo di contattarci a: CBGnetwork@aol.com
* (N.d.tr.) E' salutata come la pillola che migliora l'umore, ma non è un antidepressivo. E' Yaz, il nuovo anticoncezionale della Bayer Schering Pharma in arrivo per il 2 febbraio, che però tanto nuovo non sembra.E' una combinazione tra un estrogeno (etinilestradiolo)  20 microgrammi + un progestinico (drospirenone) 3 milligrammi.Ma esiste già! Si chiama Yasminelle e, guarda caso, è della stessa casa farmaceutica che ha prodotto Yaz. Per farla sembrare una novità sono state aggiunte 3  compresse, così si evita  la fluttuazione ormonale, si dice, + 4 compresse placebo , cioè di solo eccipiente, per  andare incontro alle giovani smemorate che a volte se ne dimenticano, e questa è forse l'unica novità che ha un senso.Tra l'altro il drospirenone è una molecola dalla struttura simile ad un diuretico e quindi puo' eliminare sì il sodio e l'acqua in eccesso, ma puo' provocare accumulo di potassio e perciò va comunque evitata nell'insufficienza renale ed epatica o per tutte coloro che assumono medicine per il cuore e determinati farmaci per la pressione (ACE inibitori).Così adesso ci ritroviamo la pillola non nuova che non solo deve svolgere la funzione per cui è nata, ma vuole anche  ampliare il  suo raggio d'azione estendendolo alla sindrome premestruale. Se no, che pillola comune sarebbe stata! Tanto di cappello per chi ha ideato questa bella strategia di marketing e di pubblicità in barba a un farmaco già presente sul mercato. E intanto Big Pharma continua il suo cammino!

Originale da:  Comunicato della Coalizione contro i pericoli derivanti dalla BAYER - BAYER-Hauptversammlung: Kritiker reichen Gegenanträge ein
Articolo originale pubblicato il 24-3-2010

L’autore
Curzio Bettio è membro di Tlaxcala, la rete internazionale di traduttori per la diversità linguística. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

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domenica 4 aprile 2010

La strategia usamericana in Afghanistan e in Pakistan: da Bush ad Obama – Da un fallimento ad una risoluzione?

di Hans-Christof von SPONECK, 27-3-2010. Tradotto da Curzio Bettio, Tlaxcala
Il “Grande Gioco” del secolo diciannovesimo, descritto da Rudyard Kipling (nel suo romanzo del 1901“Kim”), partecipato dall’India britannica e dalla Russia imperiale per conquistare l’accesso all’India e alle acque calde del Mare Arabico, continua. Oggi, vi partecipano molti nuovi giocatori, ma le questioni praticamente sono sempre le stesse. Non si deve dimenticare che la Gran Bretagna è stata uno dei più importanti giocatori in, e per, l’Hindukush già nei primi giorni del colonialismo. Perciò, non deve destare sorpresa che il governo di Londra, il 28 gennaio 2010, abbia organizzato una conferenza internazionale sull’Afghanistan. Questo conferma in modo convincente il continuo interesse britannico nei confronti di questa area geo-politicamente strategica.   
Coinvolgimento degli Stati Uniti nell’area
Per quanto concerne gli Stati Uniti, il loro coinvolgimento nell’area durante il diciannovesimo secolo è stato veramente trascurabile.
Nel ventesimo secolo gli USA hanno partecipato per procura alle mosse strategiche nell’area. Questa indiretta presenza usamericana si è materializzata mediante i collegamenti con i servizi segreti del Pakistan, l’Inter-Services Intelligence (ISI), e attraverso le forniture segrete di armamenti ai Mujaheddin afghani per “dare alla Russia il suo Vietnam”, come affermato da Zbigniev Brzezinski, dal 1977 al 1981 Consigliere per la Sicurezza Nazionale nell’amministrazione Carter. In seguito agli eventi dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti hanno assunto la parte principale nel plasmare la politica internazionale per l’Afghanistan durante il ventunesimo secolo. 
 
Ambiti del conflitto
Nel 2010 le crisi in Afghanistan e Pakistan sempre più profonde si stanno sviluppando su un’area geografica molto estesa.
Esiste un cerchio esterno di conflitto in cui la NATO guidata dagli USA si oppone alla Russia e alla Cina, membri decisivi della Shanghai Cooperation Organisation (SCO), che contrastano la sua politica in Afghanistan-Pakistan. La SCO è un’alleanza regionale che vede come membri associati la maggior parte dei paesi dell’Asia centrale, fra i quali l’India, il Pakistan, l’Iran e la Mongolia.
La dottrina della NATO del 1999 e la conseguente divulgazione del paradigma che la sicurezza energetica è l’elemento principale della politica della NATO hanno intensificato il braccio di ferro con la Russia e la Cina. Questi due paesi respingono con fermezza l’accerchiamento dell’Occidente e l’interferenza in quella che considerano la loro sfera di tradizionale influenza.
Inoltre, vi è un cerchio più interno di conflitto con il centro in Afghanistan e Pakistan.
È qui dove le divisioni etniche in Afghanistan e la controversia storica fra Afghanistan e Pakistan sul ‘Pashtunistan’ determinano le politiche locali. Il trattato del 1893 fra l’India britannica e la Russia imperiale zarista ha lasciato la sua eredità nella configurazione di un confine artificiale che divide le comunità che parlano Pashtu. Qualsiasi amministrazione degli Stati Uniti alle prese con questo cerchio di conflitto più interno dovrebbe avere una approfondita conoscenza di questo panorama etnico.  
 
Per capire la situazione locale
Altre circostanze locali e regionali devono essere prese in considerazione. Fra queste, la sfiducia dei leader locali nei confronti delle autorità centrali di Kabul, Peshawar ed Islamabad.
Le autorità pachistane di Islamabad non hanno dimenticato che, al tempo dell’indipendenza nel 1947, la Provincia di Frontiera Nord-Occidentale (NWFP) era propensa ad optare per l’India piuttosto che per il Pakistan!
Tradizionalmente, le divisioni religiose più profonde fra Sunniti e Sciiti si sono verificate in Afghanistan. Gli Sciiti della zona di Hazara nell’Afghanistan centrale, della Provincia di Helmand e di altre parti dell’Afghanistan sud-occidentale sono da sempre in conflitto con la maggioranza sunnita di Kabul.
Da quando l’Iran ha allargato la sua sfera di influenza nell’area afghano-pachistana (AfPak area), in Pakistan gli antagonismi fra Sunniti e Sciiti si sono accentuati.
Feudalesimo, povertà e corruzione [1], tutto questo è stato parte integrante della vita nell’area AfPak.
Bisogna considerare tre fattori che hanno considerevole influenza sulle crisi attuali nei due paesi.
Le Nazioni Unite identificano l’Afghanistan come uno dei paesi più poveri nel mondo con una aspettativa di vita media di soli 42 anni, con un’alfabetizzazione negli adulti di circa il 28% e una mortalità nei bambini sotto i cinque anni del 297 per 1000. Il quadro nella cintura tribale del Pakistan che attraversa il confine con l’Afghanistan non è molto differente.
L’India non ha mai del tutto accettato che tre delle sue Province occidentali (Sind, Baluchistan e NWFP) e parti del Punjab le siano state sottratte nel 1947 per formare il Pakistan odierno. Questo spiega in qualche maniera l’interesse che l’India ha dimostrato fin da allora nel conservare un forte punto di appoggio politico in Afghanistan.
Cina e Russia, dal cerchio più esterno, non influenzano da sole gli sviluppi nell’area AfPak, ma esistono molti altri attori che altrettanto bene agiscono nel cerchio più interno, allo scoperto o dietro le quinte.
A contribuire in modo ulteriore alla complessità della crisi vi è la mentalità da bazar degli Stati dell’Asia centrale. Per ragioni monetarie e di altra natura, i governi di questi Stati hanno allacciato contrattazioni sia con la Russia che con gli Stati Uniti e quindi si dimostrano giocatori imprevedibili ed inaffidabili nella regione. Le recenti trattative in Kyrgystan riguardanti la base aerea di Manas servono da perfetto esempio. Sia la Russia che gli Stati Uniti hanno cercato di spuntare il miglior prezzo e alla fine gli Stati Uniti hanno fatto la miglior offerta per ottenere la concessione della base in affitto. 
Il mondo musulmano in questa zona, nel Medio Oriente ed altrove si è opposto ai piani espansionistici usamericani. La maggioranza dei popoli che vivono nelle regioni dell’Asia centrale sono di fede musulmana. Questo costituisce un fattore importante che ogni amministrazione degli Stati Uniti deve tenere ben presente. Il Presidente degli USA Obama lo deve avere fatto quando al Cairo nel giugno 2009 ha rivolto il suo discorso conciliante ai popoli musulmani.
Allo stesso modo, gli Afghani e i Pakistani avranno preso nota della sua enfatica sottolineatura relativa ai diritti per la libertà religiosa e per lo sviluppo economico e, cosa più importante, del punto di vista di Obama che nessun sistema di governo dovrebbe essere imposto da un paese ad un altro paese.  
Sfide difficili per gli Stati Uniti
Gli Stati Uniti e i loro alleati devono affrontare difficili sfide nel mettere in attuazione i loro piani nell’area AfPak, sotto le migliori circostanze. Il problema è che non ci sono “migliori” circostanze.
Prima di tutto, vi è  una completa mancanza di fiducia fra la maggioranza della popolazione che vive nella regione AfPak nei confronti della NATO guidata dagli USA e nei governi coinvolti.
La cooperazione segreta di un tempo si è trasformata in scontro in campo aperto. Da non dimenticare che nell’area gli Stati Uniti avevano cooperato con Osama bin Laden, arruolando, armando ed indottrinando le milizie anti-Sovietiche. Gli amici di ieri dei Mujahedeen sono i nemici dei Mujahedeen di oggi. In una intervista del giugno 2009 rilasciata al settimanale tedesco ‘Der Spiegel’, l’ex Presidente Pervez Musharraf concludeva: “Oggi, gli Usamericani sono odiati in Pakistan. Gli Stati Uniti ci hanno lasciato in eredità 30.000 Mujahedeen che loro hanno procurato ed addestrato!”
Come in Iraq, gli Stati Uniti hanno mancato di preparazione non-militare e di addestramento a comprendere e a trattare con la complessità delle situazioni locali, e questo spiega molti dei fallimenti dell’intervento.
Penetrata in profondità  nella psicologia statunitense vi è la percezione che gli Stati Uniti siano chiamati sempre ad esibire una globale leadership in tutti i campi e con ogni mezzo. Malgrado la nuova retorica da parte dell’attuale amministrazione Obama, questa percezione non è svanita. Elementi di una mentalità bi-partisan ‘PNAC’ (il neo-liberista ‘Project for a New American Century’ degli anni Novanta) rimangono presenti e visibili e non sono di buon augurio per i futuri sviluppi nella regione AfPak.
Le complicazioni di natura differente che gli USA e i loro alleati devono affrontare nell’area AfPak sono un terreno collinoso – eccellente per la guerriglia, sfavorevole per un moderno esercito – e linee di rifornimento complicate date le grandi distanze e, come accennato, l’inaffidabilità dei partner dell’Asia centrale.  
 
L’amministrazione Bush nella regione AfPak – una storia di fallimenti
In seguito all’attacco dell’11 settembre 2001 contro le torri gemelle di New York, il coinvolgimento in Afghanistan degli Stati Uniti con azioni di anti-guerriglia sotto copertura si è trasformato in operazioni di contro-terrorismo in campo aperto. Si è intensificata l’assistenza militare USA al Pakistan.
Gli obiettivi dell’amministrazione Bush erano triplici: la sconfitta di Al-Qaida, la distruzione delle basi di appoggio dei Taliban ed una determinazione cieca a portare la democrazia in Afghanistan e all’intero mondo musulmano. Al di là di queste generali aspirazioni, il governo degli Stati Uniti, durante la presidenza di George W. Bush, non ha mai avuto una strategia per l’Afghanistan o per il Pakistan, e tanto meno una strategia per l’area AfPak.
Comunque, come nel caso dell’Iraq, vi è stata molta sperimentazione tattica nel dispiegamento delle truppe, nel mescolare le operazioni militari e l’assitenza umanitaria e nel sollecitare l’appoggio di gruppi locali. 
Durante questi anni sono stati investiti sempre più tempo e denari per la sicurezza delle stesse truppe. La diffidenza e l’odio per la presenza straniera, in particolar modo per l’esercito degli Stati Uniti, si sono di continuo accresciuti. Le informazioni trapelate sul crudele trattamento riservato ai prigionieri afghani nella base aerea usamericana di Bagram, l’equivalente di Guantanamo in Afghanistan, hanno alimentato la lotta contro le truppe statunitensi. Il recente attacco terroristico all’interno dell’avamposto della CIA usamericana a Khost nei pressi del confine Afghano-Pakistano da parte di un membro dell’esercito afghano, che ha causato la morte di sette operativi di intelligence statunitensi e di un reporter canadese, è la prova evidente della profondità dell’odio che è stato accumulato nel paese contro gli invasori stranieri.
Quello che non avrebbe dovuto costituire sorpresa a Washington era la facilità con cui i rivoltosi di etnia Pashtu si muovevano avanti ed indietro attraverso le aree di confine fra Afghanistan e Pakistan. Per costoro, questo è territorio di rifugio in entrambi i versanti del confine.
La risposta statunitense è  stata quella di mettere in atto operazioni segrete delle Forze Speciali e di impiegare droni pilotati automaticamente contro la fascia tribale del Pakistan. Questo ha elevato i rischi e la complessità della crisi. La dirigenza politica del Pakistan giustificava in maniera riluttante queste incursioni usamericane. Gli Stati Uniti compensavano con assistenza finanziaria e strutture militari, necessarie per rafforzare sia l’esercito che il governo del Pakistan contro un’opposizione sempre più larga nei confronti del presidente Asif Ali Zadari e il gabinetto del primo ministro Yousaf Raza Gilani.
Questo approccio statunitense è stato per decenni il modello della cooperazione fra gli Stati Uniti e il Pakistan. Quello che costituisce la differenza di questi tempi è solo l’entità dei contributi statunitensi.
Lo stato d’animo del popolo, sia in Afghanistan che in Pakistan, è diventato progressivamente ostile all’aumentare del numero di vittime locali. Sono manifestazioni di collera delle popolazioni gli attacchi ben pianificati contro centri di rifornimento della NATO nell’area di Peshawar e contro convogli militari nella strada che collega il Pakistan all’Afghanistan.
Per rendere la situazione ancora più complessa, il servizio segreto del Pakistan, l’ISI, continua a fare un abile doppio gioco nel nord del Pakistan e attraverso il confine con l’Afghanistan, cooperando sia con le autorità statunitensi che con i gruppi locali. 
Qual è stato il ruolo delle Nazioni Unite nella crisi AfPak? Presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non è avvenuta alcuna discussione in merito e sono state destinate in modo limitato assistenza umanitaria e risorse per la ricostruzione nazionale.
L’ONU e le sue agenzie sono state attive nell’occuparsi dei profughi da entrambe le parti del confine. Comunque, tanto i dirigenti dell’ONU che quelli della NATO hanno elogiato la cooperazione tra l’Organizzazione mondiale e l’Alleanza.
Kai Eide, il coraggioso Inviato Speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan, che avrebbe dovuto lasciare il suo ufficio in marzo [N.d.tr.: Le dimissioni del capo della missione Onu in Afghanistan, annunciate con quattro mesi di anticipo sulla scadenza naturale del mandato, il norvegese Kai Eide si dimette il 12 dicembre 2009, sono la ciliegina sulla torta di uno sfilacciamento generale dell'opzione “civile”, già messa a dura prova dalla marcia indietro di Obama suggellata dalla decisione di inviare 30mila nuovi soldati americani cui si aggiungerebbero altri 10mila uomini Nato tra cui mille italiani.], nel dicembre 2009 dichiarava al Consiglio di Sicurezza dell’ONU che, a suo parere, l’Afghanistan straziato dalla guerra si trovava sull’orlo di diventare incontrollabile.    A livello politico, durante gli anni dell’amministrazione Bush, l’ONU aveva rivestito un ruolo poco più di legittimazione della presenza della NATO in Afghanistan.
Questo non deve sorprendere, visto che il presidente Bush non ha dato molto spazio al multilateralismo, né in Iraq né in Afghanistan.
Una conoscenza dell’amministrazione statunitense geo-strategicamente limitata si è palesata in una grave sottovalutazione del peso politico della Russia e dei paesi confinanti con l’Afghanistan, come la Cina, i paesi dell’Asia centrale e l’Iran.
L’amministrazione Bush semplicisticamente riteneva che la superiorità militare degli Stati Uniti fosse bastante a promuovere la causa in Afghanistan, a diffondere nell’area il pluralismo e a marginalizzare la Russia.
In assenza di una strategia, gli USA avevano solo obiettivi politici limitati. Il governo Bush cercava di rafforzare la struttura dell’esercito e della polizia dell’Afghanistan e provvedeva al loro addestramento. Questo non è differente dall’approccio statunitense in Iraq.
Per di più, molti analisti e specialisti di intelligence venivano inviati in Afghanistan per cercare di dare la caccia ad Al-Qaida e ai Taliban.
Durante questi anni, la produzione di oppio in Afghanistan ha raggiunto nuovi record.
L’Ufficio dell’ONU per le Droghe e il Crimine con sede a Vienna valutava che nel 2008 i campi di papavero afghano avevano reso qualcosa come 8.000 tonnellate di oppio. La reazione degli Stati Uniti oscillava da un atteggiamento di laissez-faire alla distruzione di raccolti e laboratori. Poco veniva fatto per promuovere la sostituzione dei raccolti e nulla per ridurre il consumo di oppio afghano all’estero. I mezzi di sostentamento dei contadini dell’Afghanistan e le loro tradizioni venivano completamente ignorati.   
L’amministrazione Obama nella regione AfPak – opportunità per una risoluzione
È ancora troppo presto per trarre delle conclusioni sulle politiche della nuova amministrazione degli Stati Uniti rispetto alle problematiche dell’area Afghanistan e Pakistan. Quello che si può dire è che la barra delle ambizioni statunitensi è stata abbassata.
Nel suo discorso del giugno 2009 al Cairo il presidente Obama sottolineava come “nessun sistema di governo può essere imposto da un qualche paese ad un altro paese”.
Tuttavia nulla veniva detto su come portare democrazia, libertà e diritti umani in Afghanistan.
Gli obiettivi dichiarati dal governo Obama, non dissimili da quelli del governo Bush, sono lo smembramento, lo smantellamento e la sconfitta di al-Qaida e dei Taliban e quello di garantire che i paradisi sicuri per questi gruppi in Afghanistan e in Pakistan non costituiscano più a lungo una minaccia per gli Stati Uniti.
Comunque, è importante sottolineare come la retorica del presente governo statunitense e la sua sensibilità di interagire con le problematiche della regione sono decisamente più positive e costruttive rispetto al modo di porsi dei governi precedenti.
Esiste il proposito di collaborare con i Taliban “moderati”, qualsiasi cosa questo comporti.
I giorni della parola d’ordine “Noi li staneremo dovunque essi siano” sono finiti. Basti considerare l’osservazione conciliante del Segretario di Stato Hillary Clinton: “I soggetti che noi adesso combattiamo, li abbiamo addestrati noi venti anni fa. Dobbiamo essere prudenti – stiamo raccogliendo quello che abbiamo seminato!” 
Di tutto rilievo è l’atteggiamento più duro che gli Stati Uniti stanno assumendo con il governo Karzai di Kabul.
Un punto importante della posizione critica degli Stati Uniti si riferisce alla corruzione esercitata dal Gabinetto afghano e dal suo troppo esteso sistema burocratico. Sono state sospese le video-conferenze bisettimanali tra i presidenti statunitense ed afghano che avevano luogo nei giorni dell’amministrazione Bush.
Il presidente Obama insiste: “Dobbiamo ascoltare le voci degli Afghani”. Ed in Afghanistan non mancano proprio le voci. Recentemente, un abitante di un villaggio afghano rimarcava: “Noi desideriamo amici, non padroni. Le priorità devono essere priorità per gli Afgani. I diritti importanti ora per noi sono l’agricoltura e l’istruzione.”
In una lettera indirizzata al Presidente Obama, un Taliban afghano ha scritto: “Noi vogliamo che lei ripudi le politiche guerrafondaie della precedente amministrazione statunitense e ponga fine alle guerre anti-umanitarie in Iraq (!) e in Afghanistan.”
Si sono sentite anche voci dal Pakistan sulla crisi AfPak. Un Chitrali, che vive nelle vicinanze del confine afghano, arrabbiato faceva rilevare: “Prego, bisogna fare opportune distinzioni fra atti di terrorismo, atti di criminalità e azioni di protesta locali dopo decenni di promesse mai mantenute dal governo per una migliore fornitura dell’acqua, per strutture sanitarie e per la risoluzione delle controversie territoriali.” 
Inoltre, si fanno sentire voci dal governo e dall’esercito del Pakistan, che chiedono che gli Stati Uniti dovrebbero comprendere le necessità di sicurezza del Pakistan ed invertire la loro politica di favore nei confronti dell’India.
La retorica del presidente echeggia queste voci. La sua sfida è di tradurre le sue prese di posizione in azioni tangibili. E non è affatto garantito che le operazioni usamericane nella regione AfPak non possano diventare il tallone di Achille di Obama.
Obama non prevede l’opzione del ritiro delle truppe dalla regione AfPak.
Da quando la nuova amministrazione è entrata in carica, tre riviste di strategia militare sono state pubblicate di seguito, dal consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti generale Lute, dal capo dello Stato Maggiore ammiraglio Mullen e dal generale Petraeus, capo del Comando Centrale delle Forze statunitensi.
Intanto il contingente militare degli Stati Uniti in Afghanistan è aumentato di 30.000 unità, con un aumento delle perdite usamericane che a metà gennaio 2010 arrivano quasi a 1000 caduti. Finalmente, dai comandanti usamericani sono stati mesi in atto tentativi per ridurre al minimo le perdite di civili. Lo scorso anno, Robert Gates, ministro della difesa degli Stati Uniti affermava: “L’uccisione accidentale di Afghani costituisce una delle nostre più gravi vulnerabilità strategiche.” In questa osservazione avrebbe dovuto includere anche le perdite civili del nord Pakistan.
Le operazioni di droni a cavallo del confine “hanno creato più nemici di quelli che si voleva eliminare”, questo il punto di vista di un consigliere militare straniero al generale Petraeus. Il numero esatto di vittime provocate dagli attacchi dei droni usamericani telecomandati non è ancora noto, ma certamente in aumento nelle aree tribali del Pakistan del nord.
Le due guerre statunitensi in Iraq e in Afghanistan hanno ridotto le potenzialità militari degli Stati Uniti ad un minimo storico. La crisi economica e finanziaria globale ha ulteriormente invalidato la libertà di azione usamericana.
Figure politiche importanti degli Stati Uniti, compreso il presidente Obama, hanno ribadito pubblicamente, senza mai fare riferimento all’accresciuta incapacità statunitense, che il governo degli Stati Uniti si aspetta dall’Europa un significativo aumento del sostegno economico e militare per le operazione nell’area AfPak.
Queste aspettative costituiscono un test importante sulla consistenza dei vincoli delle relazioni transatlantiche, dal momento che l’Europa verosimilmente sta eludendo queste aspettative. Gli alleati europei della NATO sono effettivamente sottoposti a forti pressioni politiche nel loro ambiente domestico, tali da riconsiderare la loro partecipazione all’avventura AfPak.
Immediatamente prima della conferenza di Londra sull’Afghanistan (28 gennaio 2010), il ministro della difesa della Germania, Theodor zu Guttenberg, puntualizzava come la Germania avrebbe presentato alla conferenza una strategia unilaterale per l’Afghanistan per un “maggior impegno per la ricostruzione e la formazione professionale nazionale”.
Il ministro degli esteri Guido Westerwelle minacciava anche di boicottare la conferenza, se l’incontro di Londra si sarebbe limitato solo ad un dibattito sui contributi addizionali di truppe.
In precedenza, aveva dichiarato al Parlamento germanico che, solo quando obiettivi e strategia fossero stati chiariti in modo definitivo, allora sarebbe stato possibile considerare per l’Afghanistan il problema di “contenuto” ( in linguaggio diretto, la questione dell’aumento di truppe).
Risulta anche interessante il fatto che nel suo discorso aveva fatto riferimento alla delicata questione di un eventuale ritiro di truppe dall’Afghanistan. Non sarebbe stata una sorpresa se a seguito della riunione di Londra, si fosse scoperto che le sue dichiarazioni erano state puramente un abile mossa politica del governo tedesco per preparare l’opinione pubblica ad un prossimo incremento nel dispiegamento di truppe tedesche in Afghanistan.
È importante considerare qui che resta da vedere se il presidente Obama sia in grado di trovare persone con autentica conoscenza delle questioni nell’area specifica. Il suo inviato speciale, Richard Holbrooke, ha dato dimostrazione evidente di non rientrare in questa categoria. Un consigliere deputato alla sicurezza nazionale, responsabile per l’Afghanistan, che di recente si è dimostrato completamente ignaro della molto discussa linea Durand ( il contestato confine fra Afghanistan e Pakistan, dal nome di Sir Mortimer Durand, ministro degli esteri nell’India britannica del 1893), non è molto affidabile!  
Le due amministrazioni degli Stati Uniti: dall’“entrata nei conflitti” all’uscita?
Mettendo a confronto l’approccio di Bush con quello di Obama rispetto alle problematiche che interessano l’Afghanistan e il Pakistan, si possono registrare prese di posizione del tutto consimili accanto a differenze significative. Entrambe le amministrazioni ritengono che la leadership degli Stati Uniti sia una pre-condizione per la pace, il benessere e la democrazia nel mondo. Qualsiasi alternativa alla leadership statunitense sarebbe fonte di anarchia internazionale.
Entrambe le amministrazioni hanno sperimentato il dispiegamento di truppe di rilevante entità, l’equilibrio fra le operazioni militari e civili e l’allargamento di negoziati a livello regionale e locale.
Evidente nelle due amministrazioni il deficit di conoscenza geo-strategica.
Comunque, il presidente Obama e la sua squadra riconoscono queste carenze e stanno tentando di porvi rimedio. Questo riguarda il confronto che si sta profilando fra la NATO e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, le divisioni etniche e religiose in Afghanistan e in Pakistan, le delicate situazioni locali trans-frontaliere e, naturalmente, gli interessi particolari di Iran ed India in Afghanistan.
Per ultimo, in entrambe le amministrazioni era presente la convinzione che il meccanismo di un aumento impetuoso del livello delle truppe statunitensi impegnate sul campo per uno specifico periodo di tempo avrebbe comportato una soluzione militare.  
Sembra che l’amministrazione Obama abbia cominciato a domandarsi se un intervento fondamentalmente militare possa risolvere la crisi nella regione AfPak.
Entrambi i governi si sono dimostrati consapevoli della situazione potenzialmente pericolosa di un Pakistan come potenza nucleare e hanno impegnato le autorità pakistane negli sforzi per intensificare la protezione delle strutture nucleari nel paese.
Le più importanti differenze negli approcci delle due amministrazioni si sono manifestate al livello retorico.
La disposizione del governo Obama ad ascoltare anche i protagonisti costituisce una differenza notevole rispetto alla precedente leadership a Washington. Una volta ancora, il dialogo e la diplomazia per gli Stati Uniti sono strumenti soddisfacenti nelle relazioni internazionali. Inoltre, l’attuale governo è più energico nel richiedere la ripartizione degli oneri politici, finanziari e militari.
Il presidente Obama è molto più orientato al multilateralismo che il suo predecessore e amerebbe vedere per le Nazioni Unite un ruolo più decisivo e una maggiore attenzione per lo sviluppo nell’area AfPak ed in altre regioni del mondo.
Le relazioni fra gli Stati Uniti e i governi dei paesi dell’Asia centrale come il Tajikistan, l’Uzbekistan, il Kyrgyzstan e il Kazakhstan si sono complicate con l’andar del tempo. L’attuale governo usamericano si rende conto della natura delicata di queste relazioni.
Visto che il Pakistan è divenuto parte integrale della crisi, ora gli Stati Uniti sono alla ricerca di una chiara definizione delle questioni nell’area AfPak, tenendo ben presente la necessità di proteggere le installazioni nucleari del Pakistan.
Nella lotta contro il terrorismo, si è aperto un nuovo fronte nello Yemen. Questo è avvenuto nella assenza completa di conoscenza da parte dell’opinione pubblica, fino all’arresto del 25 dicembre 2009 di Abdulmutallah, figlio di un banchiere nigeriano, che aveva tentato di far precipitare un jet delle linee statunitensi sulla città di Detroit. Il mondo veniva a sapere così che lo Yemen stava diventando un pericoloso covo di al-Qaeda e roccaforte usata per l’addestramento di giovani Musulmani, come questo Abdulmuttalah.
Così lo Yemen è stato annoverato dagli Stati Uniti, e naturalmente dalla NATO, nel conto dei punti caldi attorno al cerchio più interno dell’area AfPak, e in quella zona veniva ulteriormente elevato il livello complesso delle operazioni militari sotto copertura e in campo aperto.
Il presidente Obama si rende conto che sta scattando l’ora della politica sia a Washington che a Brussels e nelle altre capitali di Europa. Una presenza a tempo indeterminato degli Stati Uniti e dei loro alleati della NATO e i costi sempre crescenti, l’occupazione militare e il numero delle perdite, sia afghane che straniere, non sono più a lungo accettabili dai parlamenti e certamente non dalla pubblica opinione nei singoli paesi dell’Unione Europea.
Un diplomatico europeo, di cui si è conservato l’anonimato, è stato citato dai media per avere dichiarato: “Tutti noi, a porte chiuse, ci raccontiamo che prima ce ne andiamo dall’Afghanistan, meglio è!”
Inoltre è abbastanza sicuro che quelli che stanno nel cerchio più esterno al conflitto, i paesi dell’Asia centrale, la Cina e la Russia intensificheranno la loro resistenza ai progetti dell’Occidente in Afghanistan e Pakistan.
I piani provocatori della NATO di espandere la sua sfera di influenza, inglobando come membri i paesi dell’Est, e così completando l’accerchiamento della  Russia e della Cina, daranno origine solo ad ulteriori conflitti nell’area e provocheranno una ancor più pericolosa corsa agli armamenti, compreso lo sviluppo dei sistemi d’arma nucleari.
La Russia condivide a breve termine le preoccupazioni dell’Occidente nei confronti del fondamentalismo islamico, dei Taliban e della droga e per queste ragioni offre un qualche appoggio alla NATO, ad esempio consente il trasporto di materiali letali e non-letali attraverso il suo territorio per ferrovia o per via aerea. Questo non è in contraddizione con le fondamentali obiezioni della Russia alla presenza USA/NATO nel suo “cortile dietro casa”. I dirigenti della NATO dovrebbero tenere questo ben presente quando si lamentano del tiepido sostegno della Russia all’avventura della NATO. 
La fiducia in sé e la risolutezza in continuo crescendo della Cina concorrono a lanciare nuove sfide all’Alleanza occidentale in Afghanistan. Il comportamento della Cina alla Conferenza Climatica dell’ONU tenutasi a Copenhagen, la sua sfida alle politiche degli Stati Uniti e dell’Unione Europea verso l’Iran, l’audacia dei suoi programmi di investimenti civili in Afghanistan e, da non sottovalutare, la recente decisione di partecipare con la sua marina militare al pattugliamento delle acque territoriali della Somalia sono indicatori di un più diretto e palese interventismo cinese nelle future crisi globali, compresa questa dell’Afghanistan.   
 
L’urgenza di un cambiamento
L’amministrazione Obama ha avuto una buona partenza in politica estera. Le opportunità di andare oltre le intenzioni per la risoluzione dei conflitti globali, compreso quello che interessa l’area AfPak, non si presenteranno per più di tanto tempo. Queste possibilità devono essere afferrate senza indugio.
Il discorso di Obama del 1o dicembre 2009 su una nuova politica degli Stati Uniti nei confronti dell’ Afghanistan fornisce ulteriori chiarimenti su queste intenzioni e dà conferma delle politiche precedenti, negando sicurezza ai rifugi di Al Qaeda e dei rivoltosi Taliban, arrestando l’impeto dei Taliban, impedendo la caduta del governo afghano e rafforzando le forze militari e di polizia dell’Afghanistan.
Si suppone che l’arrivo in aggiunta di 30.000 uomini di truppa statunitensi e un’addizionale di 7.000 uomini delle truppe della coalizione possano favorire il meccanismo del cambiamento.
La novità nella proposta di Obama consiste nella maggior condivisione delle responsabilità con le autorità civili e militari dell’Afghanistan non solo a livello centrale, a Kabul, ma anche a livello regionale e, in modo particolare, a livello locale “per creare le condizioni per il trasferimento totale delle responsabilità agli Afghani” e per intensificare le relazioni degli Stati Uniti con il vicino   Pakistan.
Quello che manca è una conferma da parte del governo degli Stati Uniti di avere compreso la vitale importanza di portare tutti quelli dei cerchi esterni ed interni al conflitto a discutere insieme alternative alla fallimentare opzione militare e come possa essere promossa in Afghanistan la ricostruzione nazionale sulla base di misure che rendano solida una durevole fiducia.
La crisi nella regione AfPak e in altre aree richiede un dialogo universalmente coinvolgente e di vasta portata. La comprensione da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati occidentali delle cause del fondamentalismo islamico nell’area AfPak e in altre parti del mondo deve essere considerata come pre-requisito di avanzamento.    
(Questo documento si basa su una relazione presentata dall’autore nel giugno 2009 su invito dell’Istituto del Lussemburgo per gli Studi europei ed internazionali)  

[1] ‘Corruzione’ è un termine che sfortunatamente viene usato dappertutto in maniera semplicistica ed indifferenziata. Non si tiene in conto delle differenti forme che la cosiddetta “corruzione” assume, dal semplice favoritismo che si basa sulle tradizioni locali agli atti moderni di disonestà criminale. Non è possibile un unico approccio nel considerare il comportamento degli Afghani, che i politici stranieri descrivono per loro comodità con “corruzione”.