mercoledì 25 novembre 2009

Le mani sulle terre: un altro assalto all’Africa


di Ama BINEY. Tradotto da  Curzio Bettio, Tlaxcala
Ama Biney scrive per “Pambazuka News” sulla corsa ad acquisire terra in Africa da parte di governi ed investitori privati stranieri, alimentata dalle apprensioni per la sicurezza alimentare mondiale a fronte delle variazioni climatiche e della instabilità dei prezzi degli alimentari sui mercati internazionali. Avvertendo che “i rischi politici ed economici di queste acquisizioni di terre sono colossali e vanno ben oltre a qualsiasi profitto,” la Biney conclude che “i governi Africani dovrebbero procurare la sicurezza e la sufficienza alimentare primariamente per i loro popoli.”

Come è possibile che nel XXI secolo, in un mondo che ha la potenzialità di sfamare ogni essere umano sul pianeta, la maggioranza dei popoli dell’Africa e del resto del Sud del Mondo, che è povera – mentre l’obesità spicca il volo in Occidente – stia soffrendo in modo dilagante la fame?
Inoltre, perché di recente vi è stato un “accaparramento delle terre” in Africa da parte di paesi ricchi? La risposta immediata alla prima domanda sta nella distribuzione ineguale e nel controllo delle ricchezze del mondo e del loro possesso in poche mani. La risposta alla seconda domanda è strettamente collegata alla prima e costituisce il punto focale di questo articolo. La fretta recente, vale a dire di questi ultimi 12 mesi, di acquisire terra in Africa ha la sua origine in un numero di fattori relativi alle preoccupazioni per la sicurezza alimentare globale, in particolare suscitate dall’aumento dei prezzi mondiali dei cereali fra il 2007-2008, aumento che ha scatenato sommosse per il cibo in più di 20 paesi in tutto il mondo, fra i quali Haiti, Senegal, Yemen, Egitto e Camerun. Hanno contribuito allo stato di questi avvenimenti l’instabilità dei prezzi sui mercati internazionali e la speculazione sui prezzi a termine delle derrate alimentari. I paesi produttori di risorse alimentari hanno imposto dazi doganali sui raccolti di prodotti di base per minimizzare le quantità che venivano esportate. La conseguenza è stata un ulteriore aggravamento della situazione.
I Paesi del Golfo, Arabia Saudita, Bahrain, Oman, Qatar (che controllano il 45% del petrolio mondiale), constatavano di non essere più a lungo in grado di dipendere da mercati regionali e globali per procurare alimenti alle loro popolazioni. Perciò si sono affrettati ad accaparrarsi terre in Africa e sono i pionieri di questo agri-colonialismo per assicurare risorse alimentari alle loro popolazioni. Le implicazioni geopolitiche di ciò hanno avuto l’effetto che il cibo è probabilmente diventato l’ambita materia prima, al pari del petrolio, in un prossimo futuro.
Altri fattori comprendono il fallimento nell’affrontare le congiunture ambientali, come le variazioni climatiche, che hanno causato le carenze idriche e siccità in molti posti nel mondo. L’impatto della siccità in zone come la Rift Valley per il popolo Masai in Kenya e per i contadini del Punjab in Pakistan è stato totalmente disastroso.
In breve, questi sviluppi globali hanno indotto paesi come la Cina, la Corea del Sud, l’Arabia Saudita e il Kuwait, che hanno insufficienti terreni da arare, a ricorrere ad investimenti agricoli in Africa. A questi paesi si sono aggiunti la Malaysia, Qatar, Bahrain, India, Svezia, Libia, Brasile, Russia e l’Ucraina.
Visto che la popolazione mondiale è proiettata verso una crescita da 6 miliardi a 9 miliardi nel 2050, le potenzialità del pianeta a produrre in modo tanto abbondante come è avvenuto finora iniziano a ridursi. Il mondo deve cambiare le modalità di produzione del cibo, di cui molto viene consumato nelle zone più ricche del pianeta, e rallentare il relativo impatto negativo sull’ambiente. In caso contrario, le crisi generate dall’insicurezza alimentare a causa dell’aumento della domanda diverranno catastrofiche negli anni a venire, quando la produzione di cibo non terrà più il passo con l’aumento della domanda.
Questo è evidente per paesi come l’Arabia Saudita che non possono più a lungo procurare cibo alle loro popolazioni, e per correre ai ripari cercano aggressivamente di acquisire terreni in altri paesi. 


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