venerdì 21 giugno 2013

L'etichetta "Grecia"



Jorge Sotirios
  ‘Crisi’ è una parola greca ma lo è anche “Icona”. Immagine, rappresentazione, segno o simbolo: tutti indicano la stessa cosa. Un’icona imprime un’immagine nella mente individuale e agisce come riferimento ... Continua a leggere
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Il «leone impaziente» di sbranare

Manlio Dinucci


Quando il presidente Giorgio Napolitano incontrò l'anno scorso in Giordania S.M. Re Abdallah II, gli espresse «l'alta considerazione con cui l'Italia guarda alla volontà di pace e alla linea di moderazione da sempre perseguita dalla ... 
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mercoledì 14 luglio 2010

Un nuovo sito per Tlaxcala

Restano ancora Bastiglie da prendere
In questo 14 luglio 2010, Tlaxcala entra in un nuovo periodo della sua storia. Noi vi presentiamo il nostro nuovo sito, risultato di molti mesi di lavoro intenso e appassionato svolto da nostri militanti, che si sono impegnati volontariamente sotto la supervisione del nostro caro webmaster.
Dunque, il sito tlaxcala-int.org prende il posto del sito tlaxcala.es, che comunque resta in linea (cliccare su ARCHIVI TLAXCALA 2006-2010), e all'interno del quale voi potrete ritrovare i 10.000 articoli da noi pubblicati in una quindicina di idiomi a partire dal 21 febbraio 2006. Questo nuovo sito, l'abbiamo voluto più bello, più funzionale, più efficace. Lavoreremo in permanenza per migliorarlo e per renderlo più completo.
Durante i cinque anni passati assieme, abbiamo percorso un lungo cammino. Prima di tutto, siamo riusciti a conseguire un obiettivo che poteva sembrare azzardato: mantenere in vita una rete di volontari e un sito web multilingue ed interculturale, senza disporre di alcun altro capitale se non della nostra volontà e delle nostre capacità.
Il cammino da percorrere resta lungo:
Ci ripromettiamo di estendere il nostro campo linguistico agli idiomi più diversi dell'umanità, che siano parlati da 1 miliardo come pure da 30.000 persone. Noi vogliamo consentire alle lotte per la libertà, la giustizia, la democrazia e la vita che avvengono nel mondo e a tutte le donne e agli uomini che le animano di stabilire dei legami e di convergere in relazioni proficue.
Al Nord come al Sud, all'Est come all'Ovest, restano ancora Bastiglie da prendere!

venerdì 25 giugno 2010

Ultime traduzioni di Tlaxcala

 DATA   TITOLO   AUTORE   TRADUTTORE / REVISORE   VEDERE 
25/06/2010 Abdelbari ATWAN عبد الباري عطوان   Giorgioguido Messina 
25/06/2010 Richard LEVINS  Curzio Bettio 
17/06/2010 Haytham MANNA هيثم مناع  Giorgioguido Messina 
17/06/2010 Abdelbari ATWAN عبد الباري عطوان   Giorgioguido Messina 
17/06/2010 Ibrahim Al Amin إبراهيم الأمين  Giorgioguido Messina 
02/06/2010 Mark LeVine  Curzio Bettio 

venerdì 28 maggio 2010

Chi ha fallito in Iraq?

di Ghassan Charbel غسان شربل, Al Hayat, 24-5-2010. Tradotto da Giorgioguido Messina, Tlaxcala
Gli americani sono arrivati in Iraq da un altro pianeta. Questa parte del mondo vive una fase storica diversa. Immaginavano di poter operare chirurgicamente e profondamente nella regione eliminando il regime di Saddam Husseyn.

Il politico iracheno sorride. L'esperienza ha dimostrato che gli americani hanno commesso un'errore nel leggere le istanze del popolo ed i loro sentimenti. Ritenevano che la caduta di Saddam avrebbe permesso loro di ricostruire l'Iraq come fecero in Germania e Giappone. Hanno dimenticato le differenti condizioni e il grado di sviluppo economico e sociale, nonché le diversità religiose e culturali.

Nei loro uffici distanti gli “architetti” inseguono un sogno ingenuo. Credevano che la democrazia fosse il solo sogno che avessero i popoli della regione. E che semplicemente aprendo la finestra  questo avrebbe incoraggiato gli iraniani e gli arabi ad invadere le strade seguendo l'esempio iracheno.

Non sapevano che noi, con le nostre etnie, sette e dottrine, ci trasciniamo appresso una storia di scontri, paure e tentativi di annientamento e cancellazione. Non sapevano che la nostra vera identità, come i sentimenti di lealtà, riduce i confini nazionali ma li oltrepassa. Non hanno capito che la nostra vera patria sono le nostre dottrine o le regioni che ci assomigliano.

Ho ascoltato funzionari, politici ed intellettuali convenire sul fatto che il ruolo americano è diventato secondario. L'invasione è riuscita a rovesciare il regime di Saddam ma ha fallito nel costruire un modello democratico attraente che stimolasse la gente della regione ad impegnarsi in un progetto di democrazia e di cambiamento di stile di vita all'ombra del pluralismo e dello stato di diritto. E' chiaro che gli americani non sono un ente di beneficenza puro.

Anche il semplice visitatore in Iraq sente le confessioni amare di politici ed intellettuali. Il racconto del fallimento americano gettato a volte come una coperta sul fallimento degli iracheni stessi, il loro fiasco nell'approfittare rapidamente dell'opportunità e fare proprio un Paese con delle istituzioni ed uno stato di diritto.

Uno dei politici include gli iracheni stessi nella lista di chi ha profanato l'Iraq. Racconta gli orrori della violenza nelle strade ed il saccheggio dei patrimoni storici, dei ministeri e delle istituzioni. Il politico denuncia le lobbies straniere che continuano a saccheggiare il suo Paese, ma vede la catastrofe nel contributo delle forze irachene al festival di questo saccheggio perenne.



Il futuro dell'Iraq è oscuro. Si sente fare questo discorso da molti. L'iracheno sente che da che era giocatore è diventato terreno di gioco. Era una nazione ed è diventato un campo. Il sogno che un Iraq forte torni ad essere la porta orientale del mondo arabo non è un sogno prossimo a realizzarsi. Il restauro del lato iracheno del triangolo che unisce Turchia ed Iran richiederà molto tempo ed il ritorno ad un Iraq forte sembra impossibile a causa della sua composizione e dei cambiamenti che lo hanno investito.

All'ingresso della regione curda aumentano le bandiere regionali al fianco di quelle irachene. Un grande cambiamento nella vita dei curdi e dell'Iraq. Per la prima volta nella storia i curdi dormono all'ombra della loro bandiera e del potere che hanno eletto. La “Repubblica di Mahabad”, formatasi nei territori iraniani durante gli anni quaranta del secolo scorso, non visse che pochi mesi. Il Kurdistan iracheno è un'altra storia. Non è possibile inserire la leadership curda nella lista dei perdenti.

Domani partiranno gli americani. Partirono decenni fa dal Vietnam. L'Impero ha la capacità di sopportare il fallimento e superarlo. L'importante è non consolidare l'insuccesso e non rendere ogni appuntamento elettorale una miccia per guerre civili e sommosse. La regione non può sopportare il fallimento iracheno a lungo.

 

Originale da: Al Hayat-من فشل في العراق؟Articolo originale pubblicato il 24-5-2010

Fonte di questa traduzione:
http://canaledisicilia.blogspot.com/2010/05/chi-ha-fallito-in-iraq.html

L’autore

Tlaxcala è la rete internazionale di traduttori per la diversità linguيstica. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

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giovedì 27 maggio 2010

Fabbriche di catastrofi e campi profughi

di Ghassan Charbel غسان شرب,  Al Hayat, 17-5-2010. Tradotto da  Giorgioguido Messina, Tlaxcala
I piccoli giocano all'incrocio dei vicoli. Corrono e litigano. Inviano le loro risate senza esitare. Non si lamentano della durezza del luogo. Né dell'acqua stagnante o dei fossi. Ridono come chi si burla del proprio destino. Più in là con gli anni boicotteranno le risate.

Il campo profughi non è cambiato molto. Il numero degli abitanti si è moltiplicato più volte. Si sono moltiplicati i piccoli nidi attaccati l'un l'altro e sovraffollati. E il numero degli abitanti delle tombe. Caos di fili elettrici. Gli sguardi di rimprovero affacciati alle piccole finestre. I vestiti appesi a fili corti. Le auto che dissipano il tempo. Dentro le stanze la ruggine aggredisce le vecchie chiavi. E l'età aggredisce le immagini dei martiri.

Il campo profughi non è cambiato molto. L'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) è la massima compassione dei responsabili internazionali. Solo le parabole satellitari prosperano. Le antenne sono un conforto nel campo. Gli abitanti si sono stancati di ripetere il loro attaccamento al diritto di ritorno. Il ritorno è disponibile solo via satellite. Distinguono tra il loro Paese e quello che era il loro Paese. Tra il mostro degli insediamenti che preda terra e cielo e i documenti di proprietà. Tra le case intessute nelle loro carni e l'accrescersi dei loro sogni impossibili. Questo è il tempo palestinese-arabo contemporaneo: canali satellitari e campi profughi.

Sulla piccola terrazza siede un uomo sessantenne, fuma. Vicino a lui un paio di piantine di basilico e d'altre erbe. Come se cercasse di ricordare che era lui il padrone di quella terra, per quanto piccola fosse. Padrone di una terra adatta alla semina e alla sepoltura. Come se cercasse nel verde delle piante assediate una risposta al nero degli anni che  passano. Le rughe del suo viso sembrano fogli di quaderno. Il quaderno della vita nel campo. Non lontano dalla patria aumenta la separazione. Il quaderno racconta la difficoltà del pane. La difficoltà del lavoro. La difficoltà di essere un rifugiato. Di nascere ed essere sepolto in un campo.

Il campo sembra tranquillo e sicuro. Tuttavia il visitatore deve essere più vigile. Sorge un problema e compaiono persone armate. Cominciano a volare le pallottole, poi tuonano le bombe. Anche il campo è soggetto a divisione, tra i radicali. Di quartieri, moschee e fucili. Divergono sul modo più efficace per raggiungere la Palestina. Sul modo più efficace per controllare l'incrocio più vicino o il quartiere adiacente.

Non hanno rinunciato al loro diritto e al loro sogno, Ma dentro al campo hanno visto le stagioni andare e venire. Il campo resta e loro in esso. Hanno visto il processo di pace andare e venire. Gli aerei andare e venire. Hanno visto i nomi dei generali del campo andare e venire, ma il campo restare, e loro in esso.

A volte gli altoparlanti risuonano e li adunano. Mostrano rabbia e protesta. Poi tornano alla vita. Giovani senza lavoro o con un lavoro che non garantisce una vita pressoché dignitosa. Il sogno di emigrare si scontra con la mancanza di documenti o di soldi. La durezza ha allungato il tempo. Il palestinese nasce nel campo. Baratta i vestiti macchiati. E il kalashnikov. E la kefia.  Si sposa, ha dei  figli e moltiplica il numero dei rifugiati. Sogna di tornare alla terra che ama, poi si stende sulla terra del campo.




L'ingresso del campo di Ain al-Hilweh


Nel campo di Ain al-Hilweh, vicino Sidone, le immagini scorrono nella tua testa. La kefia di Yasser Arafat. Il simbolo della vittoria. L'aviazione che non dorme. Oslo. La regione crolla sul leader simbolo. Ricorda Mahmud Darwish e il filo delle grida di gioia (1) in un discorso passeggero. Ricorda anche le ferite della separazione palestinese (2). I termini della riconciliazione nazionale. La tentazione di non firmare. Il lusso di non firmare.

L'anniversario della Nakba. L'anniversario della grande Nakba. L'estrema povertà. La memoria del mondo che dimentica. Un mondo deserto e selvaggio. E una regione soffocata da fabbriche di catastrofi e campi profughi.


(1)-  Si fa riferimento alla poesia “Nozze”
(2)- Si fa riferimento alla poesia “Diario di un palestinese ferito”




Tlaxcala è la rete internazionale di traduttori per la diversità linguística. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

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mercoledì 26 maggio 2010

Manifesto per la libertà del pensiero economico

Contro la dittatura della teoria dominante e per una nuova etica
di  PAOLO SYLOS LABINI ASSOCIAZIONE

Il Manifesto si propone di suscitare una discussione aperta sugli orientamenti della ricerca economica e delle sue implicazioni politiche e culturali, riprendendo i temi della “Lettera al Direttore” pubblicata su “Repubblica” il 30 settembre 1988, e firmata da Giacomo Becattini, Onorato Castellino, Orlando D’Alauro, Giorgio Fuà, Siro Lombardini, Sergio Ricossa e Paolo Sylos Labini. L’Associazione Paolo Sylos Labini, che si è fatta promotrice dell’iniziativa, raccoglie le adesioni (per firmare vedi a fine pagina). Su questo sito si trova un apposito spazio per ospitare commenti ed analisi da parte di tutti coloro (singoli individui, associazioni, siti web ecc.) che vorranno aderire al manifesto.
Superate le 700 firme
Le adesioni al “Manifesto” promosso dall’Associazione Paolo Sylos Labini*
  • Critica Liberale
  • Sbilanciamoci.info
  • Economia e Politica
  • Associazione Rossi-Doria
  • Movimento d’azione giustizia e libertà
  • Giorgio Ruffolo
  • Alessandro Roncaglia
  • Marcella Corsi
  • Roberto Petrini
  • Stefano Sylos Labini
  • Francesco Sylos Labini
  • Loretta Napoleoni
  • Enzo Marzo
  • Mario Pianta
  • Riccardo Realfonzo
  • Agostino Megale (Segretario confederale Cgil nazionale e presidente Ires Cgil)
  • Mauro Gallegati
  • Luciano Gallino
  • Luciano Barca
  • Massimo Paradiso
  • Giulietto Chiesa
  • Michele Salvati
  • Marcello Degni
  • Giovanni Vetritto
  • Attilio Pasetto
  • Stefano Zamagni
  • Roberto Artoni
  • Giovanni Scanagatta (segretario generale UCID)
  • Marco Berlinguer
  • Michele Macri’
  • Paolo Raimondi
  • Valeria Panzironi
  • Stefano Prezioso
  • Pierangelo Dacrema
  • Carlo D’Adda
  • Salvatore Biasco
  • Paolo Palazzi
  • Anna Giunta
  • Giacomo Becattini
  • Cristina Marcuzzo
  • Michele de Benedictis
  • Gilberto Seravalli
  • Bruno Jossa
  • Giorgio Lunghini
  • Massimo Livi Bacci
  • Stefano Fassina (Responsabile Economia e Lavoro PD)
  • Laura Pennacchi
  • Arrigo Opocher
  • Pier Luigi Porta
  • Mario Sarcinelli
  • Gaetano Sabatini
  • Marco Cipriano
  • Gianni Viaggi
  • Roberto Romano
  • Emilio Carnevali
  • Paolo De Joanna
  • Ferruccio Marzano
  • Cosimo Perrotta
  • Claudio Gnesutta
  • Loredana Mozzilli
  • Pierfranco Pellizzetti
  • Nadia Urbinati
  • Cristina Comencini
  • Antonella Stirati
  • Fabrizio Botti
  • Carlo D’Ippoliti
  • Guglielmo Forges Davanzati
E tra gli altri ….
  • Paolo Bosi
  • Alfonso Gianni
  • Nicola Acocella
  • Mino Vianello
  • Marzio Catarsi
  • Duccio Cavalieri
  • Lanfranco Turci
  • Gianfranco Viesti
  • Carla Ravaioli
  • Sergio Ferrari
  • Stefano Zapperi
  • Annamaria Testa
  • Andrea Ginzburg
  • Mario Mazzocchi
  • Alberto Niccoli
  • Silvia Larizza
  • Jose’ de Faira-Costa
  • Giovanni Palmerio
  • Fabrizio Battistelli
  • Terenzio Cozzi
  • Pietro Alessandrini
  • Antonella Picchio
  • Carlo Panico
  • Paolo Pini
  • Sergio Cesaratto
  • Sebastiano Fadda
  • Gugliemo Chiodi
  • Guido Ortona
  • Elisabetta Basile
  • Francesca Bettio
  • Daniela Parisi
  • Salvatore Rizzello
  • Annamaria Simonazzi
  • Sergio Rossi
  • Cristiano Antonelli
  • Gustavo Visentini
  • Marco Causi
  • Bruno Contini,
  • Paolo Guerrieri,
  • Giuseppe Di Taranto.
  • Antonio Di Majo
  • Andrea Salanti
  • Alessandro Vercelli
  • Mauro Baranzini
  • Frederic S. Lee
  • Tae-Hee Jo
  • Alessandro Vercelli
Segue qui.
*le firme sono disposte in ordine di arrivo

1. La teoria dominante è in crisi

Oggi dopo anni di atrofizzazione si affaccia un nuovo sentire al quale la scienza economica deve saper dare una risposta. La crisi globale in atto segna un punto di svolta epocale. Come in tanti hanno rilevato, oggi entrano in crisi le teorie economiche dominanti e il fondamentalismo liberista che da esse traeva legittimazione e vigore. Queste teorie non avevano colto la fragilità del regime di accumulazione neoliberista. Esse hanno anzi partecipato alla edificazione di quel regime, favorendo la finanziarizzazione dell’economia, la liberalizzazione dei mercati finanziari, il deterioramento delle tutele e delle condizioni di lavoro, un drastico peggioramento nella distribuzione dei redditi e l’aggravarsi dei problemi di domanda. In tal modo esse hanno contribuito a determinare le condizioni della crisi. E’ necessario ricondurre l’economia ai fondamenti etici che avevano ispirato il pensiero dei classici.

2. E’ urgente riaprire il dibattito economico

E’ urgente riaprire il dibattito sulle fondamenta delle diverse impostazioni teoriche presenti nel campo economico. Occorre respingere l’idea – una giustificazione di comodo per tanti economisti e commentatori economici mainstream – che esista una sola verità nella scienza economica. Occorre dare spazio alle teorie alternative – keynesiana, classica, istituzionalista, evolutiva, storico-critica nella ricchezza delle loro varianti – nell’insegnamento e nella ricerca. Occorre adeguare ai tempi i nostri strumenti, assumendo l’analisi di genere nei nostri studi. E’ necessario dare “diritto di tribuna” ad ogni nuova idea economica nel segno della libertà e del libero confronto. Le concentrazioni di potere (nelle università, nei centri di ricerca nazionali e internazionali, nelle istituzioni economiche nazionali e internazionali, nei media), come quelle che hanno favorito nella fase più recente l’accettazione acritica del fondamentalismo liberista, debbono essere combattute.

3. Un’economia al servizio delle persone

La scienza economica dev’essere intesa in modo ampio, senza definizioni unilaterali e con piena apertura all’interscambio con le altre scienze sociali. L’obiettivo della ricerca dovrebbe consistere nella comprensione della realtà sociale che ci circonda, come premessa per scelte politiche dirette a migliorare la condizione di vita delle persone e il bene comune.

4. Un metodo non più fine a se stesso

A questo fine va indirizzato l’utilizzo delle tecniche disponibili, dall’analisi storiografica a quella econometrica, dall’analisi delle istituzioni alla costruzione di modelli matematici, senza preclusione verso alcuna tecnica ma allo stesso tempo senza che la raffinatezza tecnica dell’analisi divenga un obiettivo autoreferenziale, fonte di conformismo e di appiattimento nella formazione delle giovani leve di economisti. Per questo, va favorito un confronto critico tra impostazioni e analisi diverse.

5. Una nuova agenda

Suggeriamo cinque temi – su cui promuovere studi e iniziative – che ci sembrano di particolare rilievo nella fase attuale:
  1. Mercato, stato e società. Dopo decenni in cui il mercato e la sua presunta “mano invisibile” hanno invaso gli spazi dell’azione pubblica e delle relazioni sociali, è necessario pensare nuove forme di integrazione tra mercato, stato e società, con attenzione per i temi della democrazia, della giustizia, dell’etica, in un quadro di sostenibilità ambientale dello sviluppo;
  2. Una globalizzazione dal volto umano. Dopo una mondializzazione dei mercati trainata dalla finanza e priva di regole, è necessario pensare a un’integrazione internazionale tra i popoli che sia democraticamente governata, che alimenti i flussi di conoscenze e di persone accanto a quelli di merci, e che promuova la cooperazione sociale anziché la feroce competizione globale.
  3. Un nuovo umanesimo del lavoro. E’ necessario ripensare il ruolo del lavoro nelle società moderne, come fonte di reddito dignitoso per tutti, di conoscenze, di relazioni sociali e come strumento di formazione ed emancipazione civile dei cittadini.
  4. La riduzione delle disuguaglianze. Le differenze di reddito e di potere, tra paesi e – al loro interno – tra gruppi sociali e persone sono cresciute in modo inaccettabile ed è necessario quindi pensare ad un modello di organizzazione delle relazioni che punti realmente a ridurre le disuguaglianze sociali, territoriali, tra uomini e donne e tra le singole persone. Questo è necessario anche per individuare una credibile via d’uscita dalla crisi, che richiede un rilancio dei consumi individuali e collettivi e degli investimenti pubblici, e l’emergere di una nuova domanda da parte di paesi e gruppi che in passato erano rimasti al margine dello sviluppo e del benessere sociale. Senza tali cambiamenti il rischio concreto è che si punti a ripristinare il regime di accumulazione neoliberista fondato sulla speculazione finanziaria, e che si alimentino per questa via crisi ulteriori ed ancora più gravi dell’attuale.
  5. Uno sviluppo più equilibrato. Va favorita la transizione da una crescita quantitativa senza limiti verso uno sviluppo più equilibrato basato sulla qualità. Occorre impegnarsi per costruire degli indici alternativi al prodotto interno lordo che è inservibile e fuorviante dal momento che non riesce a rappresentare diverse attività economiche, i costi ambientali e il reale benessere della popolazione.

Originale da: http://www.syloslabini.info/online/?page_id=864
Articolo originale pubblicato nel maggio 2010
L’autore

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