di Ghassan Charbel غسان شربل, Al Hayat, 24-5-2010. Tradotto da Giorgioguido Messina, Tlaxcala Gli americani sono arrivati in Iraq da un altro pianeta. Questa parte del mondo vive una fase storica diversa. Immaginavano di poter operare chirurgicamente e profondamente nella regione eliminando il regime di Saddam Husseyn.
Il politico iracheno sorride. L'esperienza ha dimostrato che gli americani hanno commesso un'errore nel leggere le istanze del popolo ed i loro sentimenti. Ritenevano che la caduta di Saddam avrebbe permesso loro di ricostruire l'Iraq come fecero in Germania e Giappone. Hanno dimenticato le differenti condizioni e il grado di sviluppo economico e sociale, nonché le diversità religiose e culturali.
Nei loro uffici distanti gli “architetti” inseguono un sogno ingenuo. Credevano che la democrazia fosse il solo sogno che avessero i popoli della regione. E che semplicemente aprendo la finestra questo avrebbe incoraggiato gli iraniani e gli arabi ad invadere le strade seguendo l'esempio iracheno.
Non sapevano che noi, con le nostre etnie, sette e dottrine, ci trasciniamo appresso una storia di scontri, paure e tentativi di annientamento e cancellazione. Non sapevano che la nostra vera identità, come i sentimenti di lealtà, riduce i confini nazionali ma li oltrepassa. Non hanno capito che la nostra vera patria sono le nostre dottrine o le regioni che ci assomigliano.
Ho ascoltato funzionari, politici ed intellettuali convenire sul fatto che il ruolo americano è diventato secondario. L'invasione è riuscita a rovesciare il regime di Saddam ma ha fallito nel costruire un modello democratico attraente che stimolasse la gente della regione ad impegnarsi in un progetto di democrazia e di cambiamento di stile di vita all'ombra del pluralismo e dello stato di diritto. E' chiaro che gli americani non sono un ente di beneficenza puro.
Anche il semplice visitatore in Iraq sente le confessioni amare di politici ed intellettuali. Il racconto del fallimento americano gettato a volte come una coperta sul fallimento degli iracheni stessi, il loro fiasco nell'approfittare rapidamente dell'opportunità e fare proprio un Paese con delle istituzioni ed uno stato di diritto.
Uno dei politici include gli iracheni stessi nella lista di chi ha profanato l'Iraq. Racconta gli orrori della violenza nelle strade ed il saccheggio dei patrimoni storici, dei ministeri e delle istituzioni. Il politico denuncia le lobbies straniere che continuano a saccheggiare il suo Paese, ma vede la catastrofe nel contributo delle forze irachene al festival di questo saccheggio perenne.
Il futuro dell'Iraq è oscuro. Si sente fare questo discorso da molti. L'iracheno sente che da che era giocatore è diventato terreno di gioco. Era una nazione ed è diventato un campo. Il sogno che un Iraq forte torni ad essere la porta orientale del mondo arabo non è un sogno prossimo a realizzarsi. Il restauro del lato iracheno del triangolo che unisce Turchia ed Iran richiederà molto tempo ed il ritorno ad un Iraq forte sembra impossibile a causa della sua composizione e dei cambiamenti che lo hanno investito.
All'ingresso della regione curda aumentano le bandiere regionali al fianco di quelle irachene. Un grande cambiamento nella vita dei curdi e dell'Iraq. Per la prima volta nella storia i curdi dormono all'ombra della loro bandiera e del potere che hanno eletto. La “Repubblica di Mahabad”, formatasi nei territori iraniani durante gli anni quaranta del secolo scorso, non visse che pochi mesi. Il Kurdistan iracheno è un'altra storia. Non è possibile inserire la leadership curda nella lista dei perdenti.
Domani partiranno gli americani. Partirono decenni fa dal Vietnam. L'Impero ha la capacità di sopportare il fallimento e superarlo. L'importante è non consolidare l'insuccesso e non rendere ogni appuntamento elettorale una miccia per guerre civili e sommosse. La regione non può sopportare il fallimento iracheno a lungo.