venerdì 30 ottobre 2009

A New York, le file si allungano ai centri di distribuzione viveri


di Cath TURNER, Aljazeera, 16.10.2009. Tradotto da Curzio Bettio, Tlaxcala
Originale: Longer lines at New York food banks
Nel primo periodo del 2008, sommosse per il cibo e proteste hanno scosso il mondo, quando i prezzi delle materie prime di base crescevano vertiginosamente fuori controllo e andavano al di là della portata delle risorse di milioni di persone che non potevano più a lungo affrontare l’acquisto di riso, pane ed altri generi alimentari essenziali.    
Tuttavia, questa insicurezza alimentare non veniva circoscritta alle nazioni in via di sviluppo o sottosviluppate, ma coinvolgeva certamente anche milioni di persone nei paesi occidentali opulenti. Ad esempio, negli Stati Uniti, i centri di distribuzione viveri in tutta New York City riportavano un incremento del numero di persone che cercavano assistenza, con qualcuno che documentava un aumento superiore al 25% rispetto all’anno passato.

I servizi giornalistici di Cath Turner del network Al Jazeera da New York City attestano code interminabili ai centri di distribuzione viveri nei sobborghi come il Bronx, con larga presenza di persone a reddito insufficiente.

Negli Stati Uniti, la sicurezza alimentare si è progressivamente deteriorata, con milioni di Americani che devono fare riferimento ad organizzazioni caritatevoli e ad istituti di beneficenza per il loro prossimo pasto. Il costo della vita è aumentato troppo rispetto a solo pochi anni fa,  e per l’abitazione, l’alimentazione e i servizi di trasporto si paga sempre di più. Però i salari e i redditi fissi, così come l’assicurazione sociale e altri benefici dello stato sociale, sono rimasti allo stesso livello.
A New York City, il cuore dal punto di vista economico degli Stati Uniti, molta gente non riesce ad avanzare molto denaro per il cibo e per altre necessità elementari della vita, dopo avere pagato l’affitto o il mutuo per la casa. Fra il 2003 e il 2008, a New York City il numero di persone che si è trovato in difficoltà a procurarsi da mangiare è raddoppiato, da due a quattro milioni.  
La “Food Bank”, la “Banca del Cibo”, di New York City distribuisce cibo ad 800 dispensari e cucine economiche di cinque distretti amministrativi della città. Il 93 % dei centri di distribuzione alimentare hanno riportato un aumento degli utenti che per la prima volta varcano le loro porte. E stanno verificando che arrivano per farsi aiutare tutti i tipi di persone – famiglie, donne con bambini, anziani, impiegati e disoccupati. 

Clicca sull'immagine per vedere il servizio di Cath Turner

Una generazione finanziariamente al verde
Aine Duggan, la vice-presidente per la ricerca e l’educazione alimentare della “Food Bank”, afferma che lo stereotipo della persona povera, senza tetto, che usa le cucine economiche, non è più vero. Il 75% dei loro utenti stanno vivendo in alloggi in affitto, ma non hanno assolutamente abbastanza denaro per mangiare. Uno su quattro di coloro che si mettono in fila per una minestra ai centri di distribuzione alimentare supera i 65 anni. 
 La “Food Bank” è veramente preoccupata per una particolare situazione demografica: i soggetti appartenenti al periodo del boom delle nascite ora stanno per andare in pensione.
La Duggan mette in evidenza che costoro fanno parte di una generazione che non ha risparmi finanziari a cui ricorrere in periodi di crisi. I loro redditi normali finiranno quando andranno in pensione, e quindi costoro saranno costretti a fare riferimento agli istituti di carità per alimentarsi.  In parte, sono le politiche e gli orientamenti del governo da mettere sotto accusa per gli attuali livelli di povertà.
La Duggan fa osservare che i salvataggi delle banche dell’anno scorso per molti miliardi di dollari da parte del governo degli Stati Uniti risultano un “fatto rivelatore”, dato che viene dimostrato che quando Washington vuole, allora l’aiuto può arrivare immediatamente.
Ancora di salvezza per i poveri
La “Food Bank” è preoccupata che coloro che hanno fame saranno presto dimenticati, ora che il governo sta iniziando a manifestare il proposito di rimettere in sesto il sistema economico.
Aine Duggan a riguardo così si esprime: “Molto spesso, da quando si è affermato che la recessione è superata, la solidarietà per le persone che si trovano maggiormente nello stato di necessità tende a dissolversi. E circola l’opinione che la gente dovrebbe realmente rimettersi a lavorare duramente e ritornare su i suoi passi, la recessione è superata, non vi sono più scuse, e se voi vi trovate nel bisogno, questo si deve al fatto che siete indolenti, e se voi vorreste cavarvela da soli, allora andrebbe tutto bene per voi e per la vostra famiglia. Bene, molte delle persone che vengono da noi non possiedono “calza-stivali” (per cavarsela da soli) e tanto meno gli stivali e nemmeno dispongono di cibo!” 
La lotta per sopravvivere 
“Part of the Solution” (Parte della Soluzione) – anche nota come POTS – è una cucina economica che distribuisce pasti nel quartiere del Bronx.
Le persone bisognose arrivano alla POTS da molto lontano e sono disposti a mettersi in fila per ore, dato che questa mensa è famosa per il suo carattere di solidarietà e di buona accoglienza.
La POTS serve pasti due volte al giorno a circa 400 persone ogni giorno, ed inoltre fornisce altri servizi gratuitamente, come consulenza legale, taglio di capelli e un posto per fare la doccia.
Suor Maria Alice è il direttore responsabile di POTS e vi ha lavorato per dieci anni.  Lei conosce tutto di coloro che arrivano alla POTS per alimentarsi e ci dice che le storie personali che sente spezzano il cuore e nello stesso tempo sono stupende. “Ho soggezione di queste persone che passano queste porte, che possono sopravvivere nella situazione in cui si trovano. Io penso, vivere su una panchina, giorno dopo giorno, notte dopo notte, non mi importa quale sia la tua dipendenza, se da alcol o da droghe, non mi importa quali siano i tuoi problemi, come sopporti questa vita? Come fai a sopravvivere?”
Ma con l’inverno in arrivo fra poche settimane, sopravvivere diventerà tanto più duro per coloro che si trovano nel bisogno negli Stati Uniti.

giovedì 29 ottobre 2009

California, “primo degli Stati Uniti in fallimento”? I tagli profondi spingono i Californiani sull’orlo del precipizio


di Bob Reynolds. Tradotto da Curzio Bettio, Tlaxcala
Originali: California: America’s first failed state? & Deep cuts push Californians to edge




Ormai, molti Californiani fanno affidamento solamente su sussidi alimentari, fra disoccupazione in aumento e tagli alle prestazioni della previdenza e sicurezza sociale.

Foto Getty Images

Alla domenica mattina, presso la congregazione metodista  della Glide Memorial United Methodist Church nel distretto degradato Tenderloin di San Francisco, il tempio vibra sempre di musica gospel di vecchia scuola.
Il Pastore Cecil Williams dichiara: “È cosa proprio buona stare tutti insieme.” La sua è una congregazione di gente tanto diversa – bianchi e afro-americani, stravaganti e seriosi, giovani ed anziani.
Per quarant’anni il Pastore Williams è stato un sincero patrocinatore della causa dei poveri e degli emarginati della città.  Di recente, in una splendida domenica di ottobre, pronunciava un sermone sulla compassione e la necessità di una giustizia sociale. Williams si rivolgeva così al suo gregge : “Voi ribadite con fermezza la vostra identità quando vi mettete dalla parte di coloro che stanno nel bisogno. E allora potete affermare che state andando nella direzione del mutamento di questo vecchio mondo per un mondo nuovo.” 
Ma in questi giorni in California si prospetta un nuovo mondo ben duro! Uno Stato, fino a questo momento sinonimo di opportunità e prosperità, di sole caldo e surf, di Hollywood e Disneyland, è piombato in tempi amaramente difficili.
 
“La terra delle opportunità”

Per avere un immediato riscontro di questo non occorre andare molto più lontano del seminterrato della chiesa, dove vengono distribuiti gratuitamente pasti ai senza casa e alle persone povere che hanno fame, come Robert Shirley. Robert è stato occasionalmente per mesi senza tetto, e così afferma: “La California era la terra delle opportunità. Qui era possibile cavarsela. Eh, mi dispiace, ma la  California non è più in questa condizione.”

Nell’ultimo anno, il numero di pasti distribuiti dalla congregazione è balzato del 21%. Il Pastore Williams dichiara che la tipologia degli assistiti della cucina gratuita è mutata drasticamente.
 
“Costoro, poco tempo fa, erano persone che andavano in giro con la ventiquattrore, persone che vestivano buoni abiti, persone che vestivano in modo veramente elegante e facevano parte della classe media. Ed ora li stiamo vedendo che si mettono in coda. E, naturalmente, questo ha dello sbalorditivo.”

La California è il paese che occupa nella graduatoria per importanza dei sistemi economici l’ottava posizione nel mondo, ma la percentuale di disoccupazione supera il 12%, la più alta negli ultimi 70 anni.  
Milioni di persone hanno perso le loro abitazioni, quando la bolla speculativa immobiliare è esplosa. Milioni ancora sono stati spinti nella condizione di povertà dalla recessione.

In luglio, l’Assemblea Legislativa dello stato disputava per settimane su come colmare un buco di bilancio di 26 miliardi di dollari. Invece di aumentare le tasse alle grandi compagnie o ai ricchi, l’accordo di bilancio che risultava per andare alla firma di Arnold Schwarzenegger, il Governatore repubblicano dello stato, prevedeva profondi tagli alla spesa pubblica, licenziando decine di migliaia di lavoratori statali.

Sono stati ridotti i finanziamenti per l’istruzione, in concomitanza con la grande crescita di domanda di insegnamento, e così si è fatto esplodere uno sciopero degli studenti delle facoltà universitarie delle università pubbliche della California.

 Sono stati abbattuti i programmi in favore degli ex carcerati e dei detenuti in libertà condizionale. Per di più è stata sistematicamente stracciata la rete di sicurezza sociale per la cura della salute e dei servizi sociali per i poveri, i bambini e gli anziani, i membri della società più deboli e con scarso potere di farsi sentire.
Con tristezza, il Pastore Williams aggiunge: “ Le persone che stanno per essere raggiunte e colpite anzitutto saranno i meno abbienti, quelli che sono in grande necessità; costoro non vengono considerati esseri umani.”
Lo Stato “che sta abbandonando i suoi cittadini più poveri”

In Pleasant Hill, un quartiere periferico di San Francisco, ho incontrato una straordinaria giovane donna di nome Amy Fedeli. Di solo 24 anni, ha riposto nel cassetto il suo sogno del college ed una carriera di infermiera professionale per accudire la nonna di 75 anni, Margaret, e la nipotina di sette anni, Emilia.
Amy sta tenendo fede ai propri doveri con le persone a lei più care in uno stato che sistematicamente sta abbandonando i suoi più poveri e le persone più deboli.

Margaret, la nonna, sofferente per un disturbo neurologico e per una forma lieve di demenza, è troppo fragile per essere lasciata a casa da sola, e però Amy deve recarsi ugualmente al lavoro presso una società di registrazioni di cartelle cliniche.

La signora stava seguendo un programma di cure diurne per adulti finanziato dallo stato dove poteva essere sottoposta a terapie ergonomiche, di controllo generale della salute, e per avere la possibilità di interazione con gli altri e conservare vigili le sue facoltà mentali.
Ma nello sforzo di ridurre gradualmente il deficit di bilancio, la California ha tagliato molti programmi dedicati agli anziani indigenti. Le nuove norme vorrebbero limitare ai più anziani le cure mediche diurne per soli tre giorni alla settimana. Questo costituisce un grosso problema per la famiglia Fedeli. Senza l’assistenza medica giornaliera al centro per anziani, Amy ritiene che  Margaret non abbia molte possibilità di sopravvivere a lungo. “Probabilmente dovrebbe finire in una casa di cura. Forse potrebbe morirne, Dio ce ne guardi!”

Per curare Margaret, Amy dovrebbe abbandonare il suo impiego, lasciando la sua piccola famiglia senza alcun reddito. Cosa ha spinto Amy ad assumersi tanta responsabilità a così giovane età?
“Cosa posso dire!? Questa è la mia famiglia; la vostra famiglia, voi siete attaccati alla vostra famiglia – questo è tutto!”

Politiche dello stato “ad un punto morto”

Una ricusazione legale ha temporaneamente bloccato alcuni dei tagli all’assistenza medica per gli anziani. Ma Schwarzenegger sta tentando con cavilli legali di rovesciare l’ordinanza del tribunale e di reintrodurre i tagli.
 
Donna Calame, che dirige un programma statale che fornisce agli anziani cure domiciliari, mi illustra bene le posizioni di Schwarzenegger, che le decisioni della magistratura stanno rendendo furioso. 
In un’intervista, Donna afferma: “Per me, tutto questo è decisamente osceno! Noi siamo uno stato ricco. Penso che quello che sta capitando in California sia dovuto, per me, a quei ricchi che hanno fatto le scelte di quest’anno, e ciò è moralmente riprovevole.”  

I critici sottolineano come i politici della California siano arrivati ad un tale “punto morto”, il governo sia così poco funzionale, che può succedere che la California sia dichiarata primo stato fra gli Stati Uniti in fallimento.

Il corpo legislativo dello stato è reso impotente da una normativa che richiede il voto di maggioranza di due terzi per aumentare le tasse e mettere questo a bilancio. Questo rende la transazione praticamente impossibile.

Ho chiesto all’analista politico Sherry Bebitch Jeffe dell’Università della California del Sud cosa sia sbagliato per la California. Bebitch Jeffe lamenta: “Il problema per la California è che siamo diventati politicamente così polarizzati che non possiamo convenire su qualcosa senza farne un affare di stato. In un certo qual modo, il bene pubblico, come concetto di buon governo, in questo stato è scomparso.”

Il fallimento del governo della California ha generato un profondo cinismo fra la gente.

Ritornando alla coda per la minestra, Robert Shirley indirizza uno schietto monito alle persone al governo del Golden State, dello Stato d’Oro.
“Se i nostri uomini politici non si toglieranno dalla testa le loro asinerie, questo stato, mettiamola in questa maniera, sta incamminandosi ad essere tale che molti dei paesi del Terzo Mondo vedranno un destino migliore della California.” 

I tagli profondi spingono i Californiani sull’orlo del precipizio
La recessione ha colpito la California duramente, con un tasso di disoccupazione al 13%.



Foto GALLO/GETTY

Viene chiamato “Tortilla Flats”, Pian della Tortilla, un agglomerato disordinato di tende e baracche che si estende fra un marciapiede e un appezzamento di terra libero, direttamente nel centro di Fresno, una città di 500.000 abitanti nella Central Valley della California.
La tendopoli, che richiama alla mente le “Hoovervilles” dell’epoca della Grande Depressione descritte dallo scrittore John Steinbeck nel suo romanzo The Grapes of Wrath, un classico della letteratura americana,  (in italiano tradotto con il titolo Furore), è il rifugio di una popolazione senza fissa dimora di quasi 70 persone.
Qui è dove incontro una coppia di nome Kerry e John. Non rispondono alle mie domande facendo riferimento ai loro cognomi. Loro vivono in una tenda ristretta per due persone ingombra di coperte e vestiario. Entrambi sono nativi della Valley. Ed entrambi, per la prima volta nella loro vita, si trovano nella condizione di senza casa.
Kerry era un’insegnante di asilo, fino ad un anno fa, quando il mondo le è crollato addosso.
Lei mi dichiara: “Mi sono ammalata. Colite ulcerosa. Ho finito di perdere il lavoro e sono finita qui. Si è esaurito il denaro ed è scaduta l’assicurazione medica, e questo è quello che mi è successo.” 
John, un giovane riservato che di solito lavorava come barbiere, mi ha raccontato una storia piena di divagazioni di brutti licenziamenti, di datori di lavoro disonesti e di impieghi che non sono andati per il verso giusto. Ora passa il tempo giocando con due piccioni che tiene liberi e ammaestrati come animali da compagnia.
Mi dice: “Si arriva ad un punto in cui il tempo non ha più alcun significato. Il tempo è solo tempo. Noi stiamo soltanto aspettando una grande occasione, una opportunità di ricostruire le nostre vite.” 
Campi di senzatetto come questo sono sorti in molti posti per tutta la California. In questi posti le persone hanno formato dei tipi di comunità, completi perfino di “municipalità” di anziani che si incontrano di sera. Molti di coloro che vivono nei campi sono dei senzatetto da sempre con problemi mentali o di droga e di alcool. Ma molti altri sono ex appartenenti al mondo del lavoro e membri della classe media che sono precipitati dalla scala economica. 
Kerry ribadisce: “Quando arrivi qui e ti riduci così, è effettivamente uno shock. Tu non sai se la gente si mostrerà amica o no. Per fortuna, ci sono persone ospitali. Ma dovunque ti guardi ci sono pericoli. Specialmente alla notte.”
  
Miseria concentrata
Mark Arax, un residente di terza generazione che ha scritto diffusamente su temi riguardanti la Central Valley, mi ha accompagnato in un giro in macchina per le campagne intorno a Fresno.  Vigne pesanti di grossi grappoli di uva da tavola, una distesa che si perde a vista d’occhio, fra vasti frutteti di mandorli, pistacchi e fichi. Arax osserva: “Noi ci troviamo nella zona agricola più ricca al mondo. E però la povertà qui è dappertutto. Fresno ha una concentrazione di povertà più di qualsiasi città della California. New Orleans sta al secondo posto. Sembra paradossale a vedere questo posto, questa fertilità e ricchezza fianco a fianco con la miseria.”

Problemi sanitari
Un altro paradosso: nell’ambiente culturale della Valley, dominato dal fast-food e dall’automobile, il più grosso problema sanitario per gli indigenti non è la fame, ma l’obesità.
Genoveva Islas-Hooker dirige a Fresno il Programma Centrale per la Prevenzione dell’Obesità nella Regione California. Lei mi accompagna nella arteria di maggior traffico della città, denominata “Kings' Canyon”. Un traffico intenso di macchine attraverso chilometri e chilometri di punti vendita di McDonald's, Kentucky Fried Chicken, e Pizza Hut.
La Islas-Hooker mi faceva osservare: “Noi amiamo muoverci in questo ambiente obesogenico, un ambiente che effettivamente induce all’obesità”.
Il fast food pieno di grassi e di zuccheri, troppo salato e piccante, per la povera gente risulta essere in effetti il più economico per sfamare le loro famiglie piuttosto che i vegetali e i cereali più salutari. 
I programmi governativi di aiuti alimentari accentuano questa situazione distribuendo cibi ipercalorici, come formaggio, latte e pane. E la forma irregolare della Valley, l’assenza di spazi pedonali e l’insufficienza di terreni di gioco e di parchi scoraggiano l’esercizio fisico. In più, l’intensa attività criminale e delle gang induce molti genitori preoccupati a tenere i bambini a casa, parcheggiati davanti alla TV, magari con un litro di qualche bevanda gassata piena di zucchero. I disturbi fisici collegati all’obesità sono saliti alle stelle.
Islas-Hooker mi dice che i medici vedono bambini nei loro primi dieci anni di vita con due tipi di diabete, di malattie normalmente riscontrate in persone quarantenni e cinquantenni.
“Stiamo parlando di disturbi cardiaci, di alcuni tipi di cancro che sono strettamente associati con l’obesità, l’ipertensione, il diabete, tutto direttamente collegabile all’obesità.”
“Questi sono dei killers. La gente sta morendo!”
Le cure sanitarie ridotte brutalmente
Ora, a causa di non indifferenti tagli di bilancio, la California ha ridotto nettamente i programmi di cure sanitarie per i meno abbienti. Queste riduzioni hanno riguardato importanti sforbiciate al programma di assicurazione statale e al programma “Healthy Families (Famiglie Sane)”, che è destinato ai lavoratori indigenti.   
Inoltre sono stati eliminati l’assistenza integrativa per i ciechi e i disabili e i centri sanitari diurni per i pazienti del Morbo di Alzheimer.
A Merced, a nord di Fresno, ho incontrato Mike Sullivan, CEO (Direttore Generale) dell’istituzione sanitaria non-profit “Golden Valley”, che vede operative 33 cliniche a costo contenuto per pazienti privi di assicurazione medica ed impoveriti. Molti dei clienti della Golden Valley sono braccianti immigrati o immigrati privi di documenti provenienti dal Messico. 
Descrivendo i tagli approvati dal Governatore Arnold Schwarzenegger, Sullivan ha commentato: “Lui ha tagliato le prestazioni mediche fornite dalla sicurezza sociale, ha eliminato direttamente programmi come quello destinato ai lavoratori della terra ed un altro programma per i poveri della California privi di assicurazione. Questo è stato devastante per la Golden Valley e per tutti coloro che provvedono alla rete di sicurezza per le cure sanitarie in questo stato.”
L’“abbandono” governativo
Sullivan ha aggiunto di essere preoccupato per l’atteggiamento del governo dello stato verso la gente interessata dai programmi che sono stati tagliati. Vi sono state poche discussioni o considerazioni degli effetti che i tagli avrebbero avuto sulla vita delle persone.
Quando ho suggerito che poteva venire alla mente la parola “abbandono”, Sullivan ha replicato: “Ma certamente! Penso che sia un buon modo di inquadrare il tutto.”
Mark Arax fa risalire le radici dell’attuale crisi della California indietro nel tempo, a più di trent’anni fa, quando i votanti in un referendum statale avevano impedito la competenza del governo ad innalzare le imposte patrimoniali : “Uno stato tanto complicato e vasto come questo non può essere gestito senza tasse. Il governo ha bisogno di capacità di tassazione. E quando noi abbiamo perso queste imposte sui patrimoni abbiamo perso la grande base che è stata utilizzata per costruire le dighe, le autostrade e l’importante sistema educativo dell’Università di California. Stiamo assistendo ora ai tempi più duri che mai si sono verificati da tre o quattro generazioni. La potenzialità di sistemare questo, la capacità da parte del governo di mettere un rimedio a questo sta diventando sempre più improbabile. Noi siamo rovinati in maniera veramente profonda.”
Ritorniamo a Tortilla Flats, il sole sta quasi tramontando. La notte è il momento peggiore, così mi avevano confessato John e Kerry, quando escono fuori i ratti e i predatori umani si muovono furtivamente. John e Kerry hanno acceso un fuoco in un malconcio barbecue grill, riscaldandosi le mani alla fiamma. L’oscurità sta coprendo la Central Valley – e tutta la California.

martedì 27 ottobre 2009

Gianni Alemanno chiede la testa del professor Antonio Caracciolo


di Miguel MARTINEZ, 23.10.2009
Versione inglese: Italy: an attempt to outlaw defending freedom of speech
Il professore Antonio Caracciolo, ricercatore di filosofia del diritto alla facoltà di Scienze Politiche di Roma, è un convinto liberale. Il suo interesse per la politica è nato pochi anni fa, quando cercò - con il successo che si può immaginare - di portare qualche forma di democrazia in Forza Italia.


In seguito, il suo interesse si è spostato verso la difesa della libertà di espressione, in particolare nei confronti delle agguerrite organizzazioni sioniste italiane. Ha analizzato con grande attenzione i metodi usati da queste organizzazioni per intimidire i critici della politica israeliana nel suo blog Civium Libertas.

In questo contesto, Antonio Caracciolo si è a volte occupato anche della libertà di ricerca sulla Seconda guerra mondiale e quindi della questione del cosiddetto "revisionismo" o "negazionismo".

Ribadisco qui per chiarezza la mia posizione: credo in linea di massima a quella che possiamo chiamare la "versione ufficiale" dello sterminio degli ebrei durante la guerra e trovo in genere discutibili i metodi dei cosiddetti "revisionisti" o "negazionisti".

Allo stesso tempo, trovo inaccettabile che in diversi paesi si possa rischiare anni di carcere per aver espresso dubbi sulla veridicità di qualche episodio storico.

I "revisionisti" o "negazionisti" sono pochi, e quindi non trovano difensori; ciò permette facilmente di aprire un varco gigantesco nell'impianto della legislazione liberale.[1] Si pensi ad esempio a come nella Repubblica Ceca, la legge "antinegazionista" abbia infilato tra le attività punibili con tre a otto anni di carcere, anche il "sostegno all'odio di classe" se espresso "per mezzo stampa, alla radio, alla televisione o in maniera analogamente efficace". Anche gli scioperanti diventano negazionisti...

Perciò una simile legislazione va combattuta a prescindere da chi colpisce. E quindi va difeso senza esitazione anche il vero credente nell'ufologia, nella superiorità della razza germanica o nel regno segreto di Shambhala, come va difeso quello che scrive "i ricchi li impiccherei tutti". Poi lo si può contestare furiosamente sul piano della discussione.

Tranquilli, comunque. Antonio Caracciolo non appartiene ad alcuna di quelle categorie. Non si esprime sulla storia, ma unicamente - in quanto filosofo del diritto - sulla violazione degli articoli 21 e 33 della Costituzione implicita nel tentativo di imporre anche in Italia leggi che vietino il dibattito storico.

In questo contesto, ha documentato tutti i casi di violazione del diritto alla libera espressione che ha potuto raccogliere.

Il blog di Antonio Caracciolo è in rete ormai da molto tempo, e non ha fatto notizia. Finché l'altro giorno un certo Marco Pasqua si sveglia e scrive un articolo in prima pagina su Repubblica, sotto il titolo:
""Lo sterminio degli ebrei è una leggenda" prof negazionista, shock alla Sapienza"
E via:
"DEFINISCE l'Olocausto una "leggenda" sulla quale esistono "solo verità ufficiali non soggette a verifica storica e contraddittorio". Una "leggenda" usata "per colpevolizzare moralmente i popoli vinti". Anche le camere a gas, "ammesso e non concesso che queste siano mai veramente esistite", sono una delle tante verità "da verificare".
Marco Pasqua o non sa leggere i blog, oppure mente. Antonio Caracciolo non ha mai sostenute tesi "negazioniste" o di altro tipo a proposito della Seconda guerra mondiale. Antonio Caracciolo ha difeso e difende la libertà di ricerca e di espressione di altri, e lo fa in quanto liberale che non ha mai espresso alcuna simpatia per il fascismo o per altri regimi.

All'articolo di Marco Pasqua, che scopre l'acqua tiepida di un blog che sta lì ormai dall'agosto del 2007, fanno immediatamente eco i repressori di professione.

Il primo è Gianni Alemanno, il sindaco postfascista di Roma (quello che sostiene che l'Università di Roma "è ostaggio di 300 piccoli criminali"):
“Mi attiverò con il rettore – ha spiegato – affinché il professore venga sospeso. Chiederò ovviamente accertamenti. Ho letto che è anche iscritto a un club di Forza Italia. Faremo verifiche anche in questo senso.”
Calcolate che è dal Medioevo che i sindaci non hanno il diritto di dire alle università cosa devono insegnare e cosa no; ma il rettore dell'università, Luigi Frati (storico barone di Medicina), risponde subito ringraziando
"il sindaco per la sollecitudine in questa circostanza. Ci stiamo attivando per valutare un provvedimento disciplinare nei confronti di Caracciolo'' ha fatto sapere Frati."
Luigi Frati coglie l'occasione di presentarsi come un martire, dicendo di essere "stato ad Auschwitz a sedici anni". Presumiamo da turista più che da internato, a meno che non abbia un chirurgo plastico migliore di quello di Daniela Santanchè:
Gianni Alemanno chiede la testa del professor Antonio Caracciolo
Luigi Frati, di ritorno dalla deportazione

Ma non solo i postfascisti ad accanirsi. Anche da sinistra si alza l'urlo dell'ignoranza repressiva.

Flavio Arzarello, coordinatore nazionale della Fgci (i giovani del PdCI), non si fida del manganello di Alemanno:


"Chiediamo, nei fatti e non a chiacchiere, l’allontanamento immediato dall’insegnamento del Prof negazionista della Sapienza Antonio Caracciolo."

Proprio come il presidente del consiglio comunale di Roma, Marco Pomarici, dinamico berlusconiano, per il quale
“non è tollerabile che determinate affermazioni circolino liberamente nella più grande Università europea, per di più, in un corso dove si insegna la filosofia del Diritto. Simili teorie possono generare odio e recrudescenze di antisemitismo è di tutta evidenza quindi che Caracciolo non è adatto all’insegnamento e va allontanato”."



Ma Marco Pomarici non era quello che un po' di tempo fa diceva, "nel fascismo ci sono stati anche diversi elementi positivi"?

Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica - un signore di cui ci siamo già occupati qui in passato -  auspica addirittura il carcere:
"Questi "signori" in alcuni paesi europei, purtroppo ancora non in Italia, sono perseguiti dalla legge per le tesi che sostengono."
Riassumiamo. Privatamente, su un blog personale, un ricercatore di diritto sostiene la libertà di parola in base agli articoli 21 e 33 della Costituzione. Per questo, viene chiesta la sua espulsione dall'università (con postfascisti e poststalinisti che convergono rossobrunamente) e viene sognato il suo arresto.

Ma Luigi Frati, nel proprio ruolo istituzionale di rettore dell'Università della Sapienza, ha fatto qualcosa di ben più strano che sostenere la Costituzione su un proprio blog privato. Ne parleremo nella prossima puntata.

Nota

[1] Si pensi se la legge vietasse rigorosamente i linciaggi in piazza, tranne per i gobbi e "alcune altre persone assimilabili". I gobbi sono pochi, non toccherà certo a me; e così lascio passare questa eccezione. Finché non scopro un giorno di appartenere anch'io alla categoria degli "assimilabili".

lunedì 26 ottobre 2009

Facebook appartiene alla CIA?


di Ernesto CARMONA, Argenpress, 26/5/2009 Tradotto da Curzio Bettio
Originale: Noticias Censuradas XXIII: Facebook ¿es de la CIA?
Version française : Facebook appartient-il à la CIA ?
I grandi mezzi di informazione hanno celebrato Mark Zuckerberg come il bambino prodigio che, all’età di 23 anni, si è trasformato in un multimiliardario grazie al successo conseguito da Facebook, ma non hanno prestato la loro attenzione all’“investimento di capitale di rischio” di oltre 40 milioni di dollari effettuato dalla CIA per sviluppare la rete sociale.

Quando il delirio speculativo di Wall Street ha fatto credere agli improvvidi che il valore di Facebook ammontava a 15 milioni di dollari, nel 2008 Zuckerberg è diventato il miliardario “che si è fatto tutto da solo”, il più giovane della storia della “graduatoria”  della rivista Forbes, con 1500 milioni di dollari.DESILUSTRATION
A quel momento, il capitale di rischio investito dalla CIA sembrava avere ottenuto degli ottimi rendimenti, ma nel 2009 il “valore” di Facebook è andato ad aggiustarsi al suo valore reale e  Zuckerberg è scomparso dalla graduatoria Forbes.
La bolla Facebook si è gonfiata  quando William Gates, il titolare di Microsoft, vi acquisiva nell’ottobre 2007 una partecipazione dell’1.6%, per un ammontare di 240 milioni di dollari.
Questa operazione induceva a fare il ragionamento per cui, se l’1% di Facebook corrispondeva a 150 milioni di dollari, allora il valore del 100% doveva ammontare a 15 miliardi di dollari, ma il sotterfugio finiva per apparire nella sua piena luce.
La questione di fondo è che Facebook esiste grazie ad un investimento di capitali di rischio della CIA. Nel 2009, i grandi mezzi di comunicazione non si sono risparmiati nel produrre “propaganda informativa” per rendere omaggio a Zuckerberg come paradigma del giovane imprenditore di successo, ma la diffusione reiterata di questa “informazione” non è stata in grado di indurre la rivista Forbes a mantenerlo nella sua graduatoria, versione 2009. (1) Il bambino prodigio spariva dalla lista, malgrado l’intensa campagna propagandistica della CNN e della grande stampa mondiale, che riflettevano gli interessi di Wall Street. La lista Forbes corrisponde ad un Premio Oscar dei grandi affari e fa gonfiare o sgonfiare il valore delle azioni.
La CIA ha investito in Facebook molto prima che questa rete divenisse una delle reti sociali più popolari di Internet, questo secondo una inchiesta del giornalista britannico Tom Hodgkinson pubblicata nel
2008 nel giornale inglese The Guardian (3) e ripresa e commentata da qualche mezzo di comunicazione indipendente di lingua inglese, ma senza alcuna ripercussione nella grande stampa.
La propaganda corporativa ha trasformato il portale sociale Facebook in sinonimo di successo, di popolarità, e nel contempo di buoni affari. Facebook si presenta come un inoffensivo sito web di relazioni sociali, che facilità i rapporti interpersonali. La sua popolarità ha fatto prevedere che i suoi approssimativamente 70 milioni di utilizzatori potrebbero aumentare in un paio di anni a 200 milioni nel mondo intero, dato che nelle migliori settimane Facebook è arrivato a ricevere fino a due milioni di nuovi utilizzatori. Nel frattempo, Facebook non convince proprio tutti!
Critiche e detrattori
“Colui che non compare su Facebook non conta nulla o si colloca fuori del sistema”, affermano taluni. Al contrario, altri dichiarano che si tratta di uno strumento atto a costruirsi una nuova immagine senza contenuti, per darsi dell’importanza nel mega-supermercato che è diventato Internet, sostituto dei posti pubblici di anziana memoria. I più pragmatici sostengono che Facebook consiste solo in uno strumento per ritrovarsi fra vecchi compagni di infanzia o di gioventù, che si sono persi di vista fra i movimenti della vita.
I suoi difensori di sinistra ribadiscono invece che Facebook serve a promuovere le lotte contro la globalizzazione e a coordinare campagne contro attività come le riunioni del G8.
Il giornalista spagnolo Pascual Serrano ha descritto come Facebook sia stato utilizzato dal governo della Colombia per coordinare la giornata mondiale contro le FARC, che nel 2008 ha marcato lo scatenarsi dell’offensiva propagandista contro la guerriglia, che continua tutt’oggi.
Ed è molto evidente come Facebook sia stato utilizzato dalla CIA.
Per Walter Goobar, di MiradasAlSur.com, “si è trattato in realtà di un esperimento di manipolazione globale: [...] Facebook è uno strumento sofisticato finanziato dall’Ufficio Centrale d’Informazione, la CIA, che non solamente lo utilizza per il reclutamento di agenti e per la compilazione di informazioni in lungo e in largo attraverso tutto il pianeta, ma anche per allestire operazioni sotto copertura.”
A grandi linee, Facebook è uno strumento di comunicazione che consente di contattare e di archiviare indirizzi ed altri dati relativi a famigliari ed amici. Per istituzioni come il ministero di Sicurezza per la Patria, degli Stati Uniti, e, in generale, per l’insieme degli apparati di sicurezza dello Stato, consacratisi con pari entusiasmo al “nemico” interno come a quello esterno, dopo l’era Bush, Facebook è una miniera di informazioni sulle amicizie dei suoi utilizzatori.
Milioni di utenti offrono informazioni sulla loro identità, fotografie, e liste di oggetti di consumo da loro preferiti.
Un messaggio proveniente da un amico invita all’iscrizione e a partecipare a Facebook.
I dati personali, spesso catturati da ogni sorta di truffatori e clonatori di carte bancarie, vanno inoltre ad approdare nei dischi rigidi dei computers dei sistemi di sicurezza degli USA.
Il sistema Beacon di Facebook realizza degli elenchi di utenti e associati, includendovi anche coloro che non si sono mai iscritti o quelli che hanno disattivato la loro registrazione. Facebook si dimostra essere più pratico e rapido degli InfraGard (2), che corrispondono a 23.000 micro-comunità o “cellule” di piccoli commercianti-informatori organizzati dall’FBI al fine di conoscere i profili psico-politici della loro clientela.
Dopo il dicembre 2006, la CIA ha utilizzato Facebook per reclutare nuovi agenti.
Altre organizzazioni governative devono sottoporre il reclutamento e gli ingaggi a regole federali, ma la CIA ha acquisito una maggior libertà di azione che non ha avuto mai nemmeno sotto l’amministrazione Bush, perfino per torturare senza salvare nemmeno le apparenze.
La CIA ha dichiarato: “ Non è necessario ottenere un qualsivoglia permesso per poterci inserire in questa rete sociale.”
Capitale di rischio della CIA
Il giornalista britannico Tom Hodgkinson ha lanciato un ben motivato segnale di allarme rispetto alla proprietà della CIA su Facebook in un articolo ben documentato, “With friends like these…”, pubblicato nel giornale londinese The Guardian, il 14 gennaio 2008 (3).
Il giornalista ha sottolineato come dopo l’11 settembre 2001 l’entusiasmo per l’alta tecnologia si è assolutamente intensificato. 
Entusiasmo che aveva già catturato gli apparati di sicurezza degli Stati Uniti, dopo che costoro avevano creato due anni innanzi il fondo di capitali “In-Q-Tel”, per far fronte ad opportunità di investimenti a rischio nelle alte tecnologie.
Secondo il giornalista Hodgkinson, i collegamenti di Facebook con la CIA passano attraverso Jim Breyer, uno dei tre associati chiave che nell’aprile 2005 ha investito in questa rete sociale 12,7 milioni di dollari, associato anche al fondo di capitali Accel Partners, membro dei consigli direttivi di giganti del calibro di Wal-Mart e Marvel Entertainment e per di più ex-presidente di National Venture Capital Association (NVCA), caratterizzata nell’investire su giovani talenti.
Hodgkinson ha scritto: “La più recente tornata di finanziamenti di Facebook è stata condotta da una compagnia finanziaria denominata Greylock Venture Capital, che vi ha impegnato 27,5 milioni di dollari. 
Uno dei più importanti associati di Greylock si chiama Howard Cox, che è un altro ex-presidente di NVCA, che inoltre fa parte del consiglio direttivo di  In-Q-Tel”.
“E In-Q-Tel, in cosa si configura?” si domanda Hodgkinson. “Bene, che lo crediate o no, (comunque lo potete verificare sul suo sito web) si tratta di un fondo di capitali a rischio della CIA. Creato nel 1999, la sua missione è quella di “individuare e di associarsi a società che sono intenzionate a sviluppare nuove tecnologie, per sostenere l’apporto di nuove soluzioni necessarie all’Ufficio Centrale d’Informazione CIA”.
La pagina web di In-Q-Tel (4) raccomandata da Hodgkinson è del tutto esplicita: “Nel 1998, il Direttore della Centrale di Intelligence (DCI) identificava la tecnologia come una prerogativa strategica superiore, direttamente connessa ai progressi della CIA nelle future tecnologie per migliorare le sue missioni di base, di compilazione e di analisi. I responsabili della Direzione di Scienza e Tecnologia hanno elaborato un piano radicale per creare una nuova struttura d’impresa con il compito di consentire un accresciuto accesso dell’Agenzia all’innovazione del settore privato.”
Anche aggiungendo ancora acqua non potremo avere più limpidità, conclude Hodgkinson.
Note

domenica 25 ottobre 2009

Facebook: di amici come quelli posso fare a meno...


di Tom HODGKINSON, The Guardian,14/1/2009. Tradotto da Curzio Bettio
Originale: With friends like these ...
Facebook ha 59 milioni di utenti – e 2 milioni se ne aggiungono ogni settimana. Ma non vi troverete Tom Hodgkinson arruolato come volontario ad offrire i suoi dati personali informativi – non ora che si è reso consapevole delle politiche populiste che stanno nel retroscena di questo sito-rete sociale.

L’entusiasmo della comunità spionistica di intelligence Statunitense per le innovazioni ad alta tecnologia dopo l’11 settembre 2001 è andato alle stelle, entusiasmo che aveva già catturato gli apparati di sicurezza degli Stati Uniti, visto che costoro avevano creato due anni prima, nel 1999, il fondo di capitali “In-Q-Tel”, per far fronte ad opportunità di investimenti a rischio nelle alte tecnologie.
Io detesto Facebook. Questo “affare” Americano di enorme successo viene descritto come “un servizio di pubblica utilità sociale che vi mette in comunicazione con le persone che stanno nel vostro intorno”. 
Ma aspettate un attimo!  Perché, per la grazia di Dio, dovrei io avere necessità di un computer per mettermi in comunicazione con le persone che mi stanno attorno? Perché l’insieme delle mie relazioni dovrebbe venire mediato tramite l’immaginazione di un branco di superfanatici degenerati in California? Cosa c’era di sbagliato nel pub?
Comunque Facebook mette in comunicazione effettivamente le persone? 
Piuttosto, non è che ci sconnetta, dato che al posto di fare qualcosa di godibile come passeggiare e mangiare e danzare e bere con i miei amici, meramente invio loro delle note sgrammaticate e mi diverto con fotografie nel ciberspazio, mentre sto incatenato alla mia scrivania? 
Un mio caro amico di recente mi ha confessato che ha passato un sabato notte da solo a casa su Facebook, bevendo al suo tavolo di computer. 
Quale malinconica immagine! Ben lontano da metterci in comunicazione, in realtà Facebook ci isola nelle nostre postazioni di lavoro.
Facebook fa ricorso ad una qualche forma di vanità e di alta opinione in noi stessi, fin troppo.
Se io costruisco un ritratto lusinghiero di me stesso con una serie di cose ed attività da me preferite, io costruisco una rappresentazione artificiale di chi io sono, in modo da ottenere sesso o consenso. (“Io amo Facebook,” mi diceva un altro amico, “attraverso Facebook ho potuto anche scopare.”) Per di più, Facebook incoraggia una disturbante competitività intorno
all’amicizia: sembra che con gli amici oggi, quella che conta sia la quantità e che la qualità non conti nulla. Più amici voi avete, meglio siete. Voi risultate “popolari”, nel senso molto amato nelle scuole superiori Statunitensi. Lo testimonia il titolo di copertina sulla nuova rivista di Facebook del gruppo editoriale Tennis: “Come raddoppiare l’elenco dei vostri amici.”
Comunque, sembra che io sia veramente molto solo nella mia ostilità. 
Nel momento in cui scrivo, Facebook dichiara 59 milioni di utenze attive, di cui 7 milioni nella Gran Bretagna, il terzo più grande utilizzatore di Facebook dopo gli USA e il Canada.
Si tratta di 59 milioni di creduloni, di potenziali vittime, molti dei quali hanno volontariamente fornito informazioni relative al loro documento di identità e alle loro preferenze come consumatori al sistema affaristico Americano, senza rendersi conto di nulla su questo. Giusto ora, ogni settimana 2 milioni di nuove persone si iscrivono. Al presente tasso di crescita, da ora fino al prossimo anno Facebook avrà più di 200 milioni di utenti attivi. Ed io potrei prevedere che, se mai, questo tasso di crescita vedrà una accelerazione nei prossimi mesi. Come il portavoce di Facebook Chris Hughes dichiara: “ Si è radicato tanto che non può altro che crescere , mentre sarà duro liberarsene.”
Tutto questo per me è sufficiente per farmi rigettare Facebook per sempre. Ma vi sono tante altre ragioni per averlo in odio. Veramente tante!
Facebook è un progetto ben costruito, e le persone che stanno dietro alla sua fondazione, un gruppo di capitalisti di ventura della Silicon Valley, hanno un patrimonio ideologico chiaramente elaborato, che sono fiduciosi di propagare in tutto il mondo. Facebook è una manifestazione di questa ideologia. Come per il precedente PayPal, si tratta di un esperimento sociologico, un’espressione di un particolare tipo di dottrina del libero arbitrio neoconservatrice. Su Facebook, voi potete essere liberi di essere chi desiderate essere, finché non verrete bombardati da annunci pubblicitari dei più importanti marchi del mondo. Come con PayPal, le line di demarcazione nazionali sono una cosa del passato.
Sebbene il progetto sia stato inizialmente concepito dalla star delle copertine dei media Mark Zuckerberg, il volto reale che sta dietro alle quinte di Facebook è quello del filosofo futurista Peter Thiel , un quarantenne capitalista di ventura della Silicon Valley.
Vi sono solo tre membri nel consiglio direttivo di Facebook, e questi sono Thiel, Zuckerberg e un terzo investitore che porta il nome di Jim Breyer, per conto di una impresa di capitali a rischio, la Accel Partners.
Thiel ha investito 500.000 dollari in Facebook , quando gli studenti di Harvard Zuckerberg, Chris Hughes e Dustin Moskowitz lo hanno incontrato a San Francisco nel giugno 2004, subito dopo che questi avevano lanciato il sito. Da quel che si dice, attualmente Thiel possiede il 7% di Facebook, che, alla valutazione corrente di Facebook di 15 miliardi di dollari, dovrebbe corrispondere a più di 1 miliardo di dollari. Esiste un ampio dibattito su chi esattamente siano stati i co-fondatori originali di Facebook, ma chiunque siano stati, Zuckerberg è l’unico rimasto nel consiglio direttivo, benché  Hughes e Moskowitz  lavorino ancora per la compagnia.
Thiel è ampiamente riconosciuto nella Silicon Valley e nello scenario Statunitense dei capitali di rischio come un genio libertario. Egli è il co-fondatore e direttore generale del sistema bancario virtuale PayPal, che ha venduto a Ebay per 1.5 miliardi di dollari, guadagnando per sé 55 milioni di dollari. Inoltre, ha amministrato un fondo assicurativo di 3 miliardi di lire sterline, il Clarium Capital Management e un fondo di capitali a rischio denominato Founders Fund.
Di recente, la rivista Bloomberg Markets lo ha definito come “uno dei manager di maggior successo del paese nel campo dei fondi assicurativi”. Thiel ha fatto i soldi scommettendo sul rialzo dei prezzi del petrolio e prevedendo in modo giusto l’indebolimento del dollaro. Lui e i suoi amiconi assurdamente ricchi della Silicon Valley sono stati recentemente etichettati come “La Mafia di  PayPal” dal periodico Fortune, e un giornalista della rivista ha per di più fatto osservare che Thiel impiega un maggiordomo in uniforme e possiede una superautomobile McLaren da 500.000 dollari.  Per altro Thiel è anche un maestro di scacchi, decisivamente competitivo. In questo campo si è anche distinto per avere rovesciato con furia la scacchiera addosso agli altri giocatori, se perdente. E non si è mai scusato per questo atteggiamento iper-competitivo, affermando: “Mostratemi un buon perdente ed io mi dimostrerò perdente!”
Ma Thiel è ben più di un capitalista abile ed avido. È anche un filosofo futurista ed un attivista neocon.
Laureato in filosofia all’università di Stanford, nel 1998 egli scriveva in collaborazione un libro dal titolo “The Diversity Myth – il Mito della Diversità”, un minuzioso attacco contro il liberalismo e l’ideologia multiculturalista, che dominava Stanford. Egli affermava che la “multicultura” portava ad una perdita delle libertà individuali.
Da studente a Stanford, Thiel aveva fondato un giornale di tendenze di destra, ancora pubblicato, il “The Stanford  Review”- motto: Fiat Lux (“Che venga la luce!”).
Thiel è membro del TheVanguard.Org, un gruppo di pressione neoconservatore con sito in Internet, che era stato costruito per attaccare MoveOn.org, un gruppo di pressione liberale che opera sul web. Thiel si definisce “libertario di passaggio”.
TheVanguard è diretto da un certo Rod D. Martin, un capitalista- filosofo grande ammiratore di Thiel. Sul sito Thiel dichiara: “Rod è una delle nostre menti guida della nazione nella creazione di nuove ed indispensabili idee per la politica pubblica. Ron è in possesso di una più che completa comprensione dell’America, più di quello che molti poteri esecutivi hanno dei loro affari.”
Questo piccolo assaggio dal loro sito web vi darà un’idea della loro visione del mondo: “TheVanguard.Org è una comunità online di Americani che credono nei valori della conservazione, del libero mercato e del governo limitato della cosa pubblica come i mezzi migliori per produrre aspettative ed opportunità per ognuno, specialmente per i più poveri fra noi.”
Il loro obiettivo è quello di promuovere politiche che “daranno nuova forma all’America e al mondo”.
TheVanguard descrive la sua politica come “Reaganite/Thatcherite”.
Un messaggio del presidente recita: “Oggi impartiremo a MoveOn [il sito web liberal], ad Hillary, e ai media radicali di sinistra alcune lezioni che mai hanno immaginato.”
Allora, le politiche di Thiel non presentano dubbi di sorta. Cosa possiamo dire sulla sua filosofia? Io ho prestato ascolto ad un podcast [un podcast è un file (generalmente audio o video), messo a disposizione su Internet per chiunque si abboni ad una trasmissione periodica e scaricabile automaticamente da un apposito programma, chiamato aggregatore] sugli indirizzi che Thiel ha dato sulla sua visione del futuro. In breve, questa è la sua filosofia: dal secolo diciassettesimo, alcuni pensatori illuminati hanno sottratto il mondo da una esistenza legata a valori vecchi, costretta dallo stato di natura, e a questo proposito cita la famosa caratterizzazione di Thomas Hobbes sull’esistenza come “cattiva, brutale e caduca”, in favore di un nuovo mondo effettivo, in cui noi abbiamo conquistato la natura.
Attualmente, viene riposto valore nelle cose immaginarie. Thiel sottolinea come PayPal poneva le sue motivazioni su questa concezione: 
non si ripone valore su oggetti di produzione reale, ma nelle relazioni fra esseri umani. Quindi, PayPal costituiva una modalità di movimentare denaro in tutto il mondo senza alcuna limitazione. La rivista “Bloomberg Markets” si esprimeva così al riguardo: “Per Thiel, PayPal è tutto centrato sulla libertà: dovrebbe consentire alla gente di scansare i controlli monetari e movimentare denaro in tutto il mondo.”
Chiaramente, Facebook è un altro esperimento del grande capitale:  volete fare denaro con l’amicizia? Volete creare collettività libere da confini nazionali – e quindi vendere poi a queste la  Coca-Cola? 
Facebook è profondamente acreativo. Non fa nulla di tutto questo. 
Semplicemente fa da mediatore in relazioni che sarebbero avvenute comunque.
Coca-Cola
Foto: Tim Boyle/Getty

Il mentore filosofico di Thiel è un certo René Girard della Stanford University, che propone una teoria sul comportamento umano denominata “desiderio mimetico”.
Girard riconosce che la gente è essenzialmente un branco di pecore, che tendono a copiarsi l’un l’altra senza troppa riflessione. Quindi la teoria dovrebbe sembrare essere dimostratamente corretta nel caso dei mondi virtuali di Thiel: l’oggetto desiderato è irrilevante; tutto quello che è necessario sapere è che gli esseri umani tenderanno a muoversi come un gregge. Da qui, le bolle finanziarie! Da qui, l’enorme popolarità di Facebook!
Girard è una presenza regolare alle serate intellettuali di Thiel.
Quello che non sentirete mai nella filosofia di Thiel, fra parentesi, sono concetti…antiquati del mondo reale, come arte, bellezza, amore, piacere e verità.
Internet è estremamente attraente per i neocons come Thiel, visto che promette un certo tipo di libertà nelle relazioni umane e negli affari, libertà dalle fastidiose leggi nazionali, dai confini nazionali e da cose di tal fatta. Internet apre su un mondo di libero commercio e di espansione liberistica.
Perciò, Thiel si mostra approvare i paradisi fiscali, e afferma con chiarezza che il 40% delle ricchezze mondiali risiedono in posti come Vanuatu [una Repubblica situata nell’Oceano Pacifico meridionale], le Isole Cayman, Monaco e le Barbados.
Penso che non siamo molto lontani dal dire che Thiel, come Rupert Murdoch, è contrario ad ogni tipo di tassazione. Inoltre ama la globalizzazione della cultura digitale, perché il digitale mette i signori supremi del sistema bancario al riparo da attacchi; e per questo ha dichiarato: “Non è possibile avere una rivoluzione operaia che prenda il controllo delle banche, se queste banche hanno la sede a Vanuatu.”
Se l’esistenza nel passato era cattiva, brutale e caduca, allora per il futuro Thiel desidera renderla molto più lunga, e per questo fine ha investito in un’impresa che sta esplorando tecnologie che procurino un allungamento della vita. Egli ha impegnato 3.5 milioni di sterline su Aubrey de Grey, un gerontologo con sede a Cambridge, che sta ricercando le chiavi dell’immortalità.
Inoltre, Thiel fa parte del consiglio direttivo di un istituto denominato “Singularity Institute for Artificial Intelligence”. Estrapoliamo dal suo fantastico sito web: “L’istituto Singularity è la creazione tecnologica di un’intelligenza più acuta di quella umana. Esistono diverse tecnologie… che spingono in questa direzione…Intelligenza Artificiale…dirette interfacce cervello-computer…ingegneria genetica…differenti tecnologie che, se raggiungessero un livello percettivo di sofisticazione, dovrebbero consentire la creazione di un’intelligenza più acuta di quella dell’uomo.”
Dunque, per sua stessa ammissione, Thiel sta cercando di distruggere il mondo reale, che egli identifica con “natura”, per imporre al suo posto un mondo virtuale, ed è in questo contesto che noi dobbiamo considerare la nascita di Facebook.
Facebook consiste in un esperimento programmato a tavolino di manipolazione globale, e Thiel è un giovane e lucido pensatore nel pantheon dei neoconservatori, con una inclinazione per insolite fantasie techno-utopistiche. Ed io non desidero aiutare nessuno a diventare ancora più ricco!
Il terzo membro del consiglio direttivo di Facebook è Jim Breyer, un partner nell’impresa a capitale di rischio “Accel Partners”, che nell’aprile 2005 ha portato in Facebook 12.7 milioni di dollari. 
Breyer fa parte del consiglio di amministrazione di giganti Statunitensi del calibro di “Wal-Mart” e di “Marvel Entertainment”, ed inoltre è un ex presidente della “National Venture Capital Association (NVCA)”.
Ora, queste sono le persone che realmente muovono le cose negli Stati Uniti, dato che investono nei giovani talenti, sul tipo di Zuckerberg. 
La più recente tornata di finanziamenti di Facebook è stata condotta da una compagnia denominata “Greylock Venture Capital”, che ha posizionato una somma pari a 27.5 milioni di dollari. Uno dei soci importanti di Greylock si chiama Howard Cox, un altro ex presidente della NVCA, che è anche nel consiglio direttivo di “In-Q-Tel”.
A cosa corrisponde “In-Q-Tel”? Bene, che lo crediate o no (ma lo potete verificare nel loro sito web), questa organizzazione gestisce il fondo a capitale di rischio della CIA. Prima dell’11 settembre, l’organizzazione spionistica Statunitense si era tanto eccitata per le possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dalle innovazioni portate avanti nel settore privato, che nel 1999 istituiva un suo fondo a capitale di rischio, l’In-Q-Tel, che “identifica e si associa con quelle imprese che sviluppano tecnologie all’avanguardia per aiutare a trasmettere queste soluzioni alla Central Intelligence Agency e ai contigui Servizi Informativi (IC) per le loro future missioni”.
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e la CIA adorano la tecnologia perché questa consente loro di spiare più facilmente. Nel 2003, il Ministro della Difesa USA Donald Rumsfeld dichiarava: “Noi abbiamo bisogno di trovare nuovi mezzi per scoraggiare i nuovi avversari; abbiamo necessità di spiccare un balzo nell’era dell’informazione, cosa che costituisce il fondamento cruciale dei nostri sforzi di trasformazione.”
Il primo presidente di “In-Q-Tel” è stato Gilman Louie, che aveva fatto parte del consiglio direttivo della NVCA con Breyer.
Un’altra figura chiave nella squadra di “In-Q-Tel” è Anita K. Jones,
ex- direttrice delle ricerche e dei servizi di ingegneria per la difesa per il Ministero della Difesa degli USA e, sempre con Breyer, membro del consiglio di amministrazione di “BBN Technologies”. Quando lei ha lasciato il Ministero della Difesa USA, il Senatore Chuck Robb le ha riservato il seguente tributo: “La Jones ha procurato la tecnologia e le organizzazioni militari operative insieme ai progetti dettagliati per sostenere il dominio Statunitense sui campi di battaglia per il prossimo secolo.”
Ora, anche se voi non accogliete l’idea che Facebook sia una qualche sorta di allargamento del programma imperialista Americano incrociato con un massiccio strumento di raccolta delle informazioni, comunque non vi è modo di negare che come affare consista in una trovata puramente megageniale. Alcuni analisti della rete hanno suggerito che la sua valutazione di 15 miliardi di dollari sia eccessiva, ma io reputo al contrario che sia troppo modesta. Le sue quotazioni sono veramente da vertigine, ma il suo potenziale di crescita è effettivamente senza limiti.
La voce impersonale del Grande Fratello sui siti web incita: “Tutti desideriamo essere in grado di usare  Facebook”. Potete scommettere che questo avverrà!
È il potenziale enorme di Facebook che ha indotto Microsoft ad acquisirne l’1.6% per 240 milioni di dollari. Una recente voce di corridoio assicura che l’investitore Asiatico Lee Ka-Shing, si dice che sia il nono uomo più ricco del mondo, ha acquistato lo 0.4% di Facebook per 60milioni di dollari.
I creatori del sito devono fare ben poco, se non giocherellare con il programma. Principalmente, devono molto semplicemente stare a guardare e aspettare che milioni di fanatici intossicati da  Facebook a titolo volontario inviino file con dettagliati i loro dati identificativi, le loro fotografie ed elenchi dei loro oggetti favoriti di consumo. Dopo avere assemblato questo enorme “database” di esseri umani, Facebook non ha altro da fare che vendere ad agenzie pubblicitarie le informazioni ricevute, o, come ha sottolineato Zuckerberg in un recente blog post, “di cercare di aiutare le persone a condividere informazioni con i loro amici su argomenti e cose che fanno sul web.” 
Ed infatti, è precisamente quello che sta avvenendo.
Il 6 novembre dello scorso anno, Facebook ha annunciato che 12 marchi mondiali hanno dato la scalata al consiglio direttivo. Fra loro, Coca- Cola, Blockbuster, Verizon, Sony Pictures e Condé Nast. Tutti addestrati nelle stupidaggini del marketing di ordine più elevato, i loro rappresentanti hanno reso commenti di fiamma di questa natura:
“Con Facebook Ads, il nostro marchio può diventare parte del modo in cui gli utenti comunicano ed interagiscono su Facebook,” ha affermato Carol Kruse, vice presidente della sezione marketing interagente mondialmente della Coca-Cola Company.
“Noi pensiamo questa come una maniera innovativa di coltivare relazioni fra milioni di utenti, mettendoli in grado di interagire con Blockbuster in un modo conveniente, adatto e divertente,” così ha dichiarato Jim Keyes, presidente e direttore generale della Blockbuster. “Questo va al di là della creazione di effetti pubblicitari. Questa è la ragione per cui Blockbuster partecipa alla comunità dei consumatori, in modo tale che, per concerto, i consumatori vengono motivati a condividere i vantaggi del nostro marchio con i loro amici.”
“Condividere”, questo il linguaggio di Facebook, per “reclamizzare”! 
Iscrivetevi a Facebook  e diverrete gratuitamente  pubblicisti rice- trasmittenti per Blockbuster o la Coca, decantanti le virtù di questi marchi ai vostri amici.
Stiamo assistendo alla modificazione mercantile delle relazioni umane, all’estrazione del valore capitalistico dall’amicizia.
Ora, rispetto a Facebook, i quotidiani, ad esempio, cominciano ad apparire sorpassati senza speranza come modello produttivistico. Un giornale vende spazi pubblicitari alle imprese commerciali perché sembra vendere materiale di valore ai suoi lettori. Ma questo sistema è molto meno sofisticato di Facebook per due ragioni. Una è quella che i giornali devono affrontare la fastidiosa spesa per pagare i giornalisti che devono fornire i contenuti. Facebook fornisce questo servizio gratuitamente. L’altra è che Facebook può raggiungere l’obiettivo pubblicitario con una precisione molto più grande di quella di un quotidiano.
Mark Zuckerberg, founder of Facebook
Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg (Foto: Paul Sakuma/AP)


È vero che Facebook recentemente naviga in acque agitate, dato il suo programma pubblicitario Beacon. Degli utenti avevano fatto presente come uno dei loro amici aveva fatto un acquisto online presso alcuni esercizi commerciali pubblicizzati; 46.000 utenti hanno considerato che quel livello di pubblicità risultava intrusivo ed hanno firmato una petizione dal titolo “Facebook! Basta invadere la mia privacy!”, tanto per dire.  Zuckerberg ha presentato le scuse presso il blog della compagnia, asserendo che ora il sistema era mutato da “opt-out”  a “opt-in”*.
Ma ho il sospetto che la piccola ribellione a questo sistema tanto radicalmente modificato sarà quanto prima dimenticata: dopo tutto, nella Gran Bretagna della metà del diciannovesimo secolo vi è stata perfino una protesta nazionale da parte del movimento per le libertà civili quando era stata proposta l’idea di una forza di polizia!
Per di più, voi tutti, utenti di Facebook, avete letto effettivamente le norme che regolano la privacy? Questo vi sta a dimostrare che non avete molta privacy. Facebook pretende di essere un campione di libertà, ma in realtà non è forse un sistema virtuale totalitario, ideologicamente motivato, con una popolazione di utenti che va ben oltre a quella della Gran Bretagna?
Thiel e gli altri hanno creato un loro proprio paese, una nazione di consumatori.
Ora, come Thiel e gli altri nuovi proprietari di questo poetico cyberspazio, voi potrete trovare questo esperimento sociale anche tremendamente eccitante. Finalmente si è realizzata la condizione Illuminista tanto desiderata fin dai tempi dei Puritani del diciassettesimo secolo che hanno veleggiato verso il Nord America, un mondo dove ognuno è libero di esprimere se stesso come più gli aggrada. I confini nazionali sono una cosa del passato ed ognuno salterella insieme a ruota libera in uno spazio virtuale. La natura è stata conquistata tramite l’abilità inventiva illimitata dell’uomo. 
Sì. E come voi potete decidere di inviare al geniale investitore Thiel tutti i vostri denari, allora certamente dovreste impazientemente attendervi la costituzione pubblica di un sistema Facebook senza blocchi limitanti.
O potreste riflettere che veramente non potete desiderare di far parte di questo programma pesantemente finanziato per creare una arida repubblica virtuale globale, nella quale il vostro io e le relazioni con i vostri amici sono trasformati in merci da vendere ai marchi giganti mondiali.
Voi potreste decidere di non volere di far parte di questo tentativo di prendere il controllo sul mondo.
Per parte mia, io non sono interessato al sistema Facebook, rimango quanto possibile senza strumenti elettronici e spendo il mio tempo che risparmio non per andare su Facebook, ma per fare qualcosa di utile come leggere qualche libro. Perché dovrei desiderare di sprecare il mio tempo su Facebook, quando non ho ancora letto il poema “Endimione”  di John Keats? E quando vi sono ancora sementi da piantare nel mio giardino di casa? Non ho alcun desiderio di allontanarmi dalla natura, desidero ricongiungermi con essa. Maledetta l’aria condizionata! E se io desidero mettermi in rapporto con le persone che mi stanno attorno, farò riferimento ad un metodo tecnologico molto antico. Si tratta di un metodo libero, facile da usare e che trasmette una ineguagliabile esperienza individuale nel distribuire le informazioni: questo metodo viene denominato “parlare faccia-a-faccia con gli altri”.

La politica di Facebook sulla privacy

Tanto per divertimento, proviamo a sostituire le parole “Grande Fratello” tutte le volte che leggiamo la parola “Facebook”
1) Noi vi faremo pubblicità: “Quando usate Facebook, avete la possibilità di fornire il vostro profilo personale, costruire relazioni, inviare messaggi, svolgere ricerche e presentare quesiti, formare gruppi, presentare eventi, rivolgere istanze e trasmettere informazioni mediante svariati canali. Noi raccoglieremo queste informazioni in modo tale da fornirvi i servizi ed offrirvi attrattive personalizzate.”
2) Voi non potete cancellare o perdere nulla: “Quando volete aggiornare le informazioni, noi conserviamo di regola una copia registrata della versione originale per un ragionevole periodo di tempo in modo da rendere possibile la riacquisizione della primitiva versione di quelle informazioni.”
3) Ognuno può lanciare uno sguardo sulle vostre più personali confessioni: “... noi non possiamo garantire, e non lo facciamo, che il contenuto pubblicato sul sito da un utente non sarà visionato da persone non autorizzate. Noi non ci rendiamo responsabili per l’aggiramento di qualsiasi regolazione della privacy o delle misure di sicurezza presenti sul sito. Voi siete ben consapevoli che, anche dopo la rimozione, copie del contenuto dell’utente possono rimanere visibili in pagine conservate nelle memorie di archivio, o possono essere state copiate da altri utenti, che ne hanno conservato il contenuto.”
4) Il profilo di marketing che noi vi procuriamo sarà imbattibile:  “Inoltre, Facebook ha la potenzialità di raccogliere informazioni su di voi da altre fonti, come giornali, blog, servizi che consentono di scambiare messaggi in tempo reale e da altri utenti del sistema Facebook mediante l’operatività del servizio (ad esempio, cartellini fotografici) in modo da fornire informazioni a vostro riguardo le più opportune e un curriculum più personalizzato.”
5) Decidere di ritirarsi non vuol dire “decidere di ritirarsi”:   “Facebook si riserva il diritto di mettere a disposizione i dati che vi concernono, anche se decidete di ritirarvi del tutto spontaneamente mediante comunicazioni via e-mail.”
6) La CIA può visionare tutto il materiale, quando ritiene opportuno farlo: “Diventando utenti di Facebook, voi acconsentite a che i vostri dati personali possano essere trasferiti ed elaborati negli Stati Uniti…Noi possiamo ricevere la richiesta di mettere a disposizione le informazioni su un utente conformemente ai requisiti e alle norme di legge, come mandati di comparizione o citazioni del tribunale, o in conformità alle applicazioni di norme legali.  Noi non rendiamo pubbliche le informazioni fintanto che non riceviamo valide garanzie che le richieste di informazioni per imposizioni legali o per controversie private non corrispondano a consone modalità legali standard. Inoltre, noi possiamo condividere il materiale informativo quando pensiamo sia necessario in ottemperanza della legge, per proteggere i nostri interessi e le nostre proprietà, per prevenire frodi o altre attività illegali perpetrate tramite il servizio di Facebook o con l’utilizzo del marchio Facebook, o per impedire imminenti lesioni corporali. Questo può intendersi come condivisione di informazioni con altre compagnie, studi legali, magistrati, agenti o agenzie governative.”
_________
* N.d.tr.: Con il termine “opt-out” (in cui opt è l'abbreviazione di option, opzione) ci si riferisce ad un concetto della comunicazione commerciale diretta (direct marketing), secondo cui il destinatario della comunicazione commerciale non desiderata ha la possibilità di opporsi ad ulteriori invii per il futuro. In mancanza di tale opposizione e in virtù di una sorta di silenzio-assenso può continuare a essere destinatario di questo tipo di comunicazioni; i metodi di opt- out sono quindi i metodi con cui un individuo può evitare di ricevere informazioni su prodotti o servizi non desiderati. Un esempio molto comune di opt-out è l’apposizione della scritta “Niente pubblicità” o similare sulla propria casella di posta in modo da evitare l’inserimento non desiderato di depliant pubblicitari.
Si definisce “opt-in”  il concetto inverso, ovvero la comunicazione commerciale può essere indirizzata soltanto a chi abbia preventivamente manifestato il consenso a riceverla. I metodi di opt- in sono i metodi con cui un individuo può esprimere il consenso al ricevimento di informazioni su prodotti o servizi non desiderati. Un esempio molto comune di opt-in è l'invio di una e-mail per confermare la propria volontà di ricevere un servizio che potrebbe essere stato attivato senza esplicito assenso.

sabato 24 ottobre 2009

I generali della guerra del gas si preparano alla battaglia più dura


di Giulietto Chiesa, Megachip, 21.10.2009
Traduzione francese di Tlaxcala: Les généraux de la guerre du gaz se préparent à la mère des batailles
Traduzione tedesca di Tlaxcala: Die Generäle des Gaskrieges bereiten sich auf die Mutter aller Schlachten vor
Traduzione spagnola di antimafiadosmil: Los generales de la guerra del gas se preparan para la batalla más dura
Traduzione svedese di Tlaxcala: Gaskrigets generaler förbereder sig för det stora slaget


  
Improvvisamente, quando il “Nord Stream” si trova ormai sulla soglia del superamento degli ultimi ostacoli burocratici e tecnici, ecco riaffiorare, in Europa e negli Stati Uniti, le polemiche, o meglio espliciti tentativi, di fermarne l'esecuzione.


Il “Nord Stream”, per i non specialisti, è la grande operazione che Mosca ha intrapreso per aggirare - piazzando i tubi sul fondo del Mar Baltico, da Vyborg a Greifswald - l'ostacolo frapposto dall'Ucraina all'afflusso del suo gas agli utilizzatori occidentali. Che si tratti di un ostacolo Mosca l'ha sperimentato negli inverni scorsi, ultimi due inclusi, con due “guerre del gas” alle quali è stata costretta dalle mosse del presidente Viktor Jushenko. “Costretta, dice Putin, molto arrabbiato, perché «noi vogliamo solo vendere il nostro gas, ma Kiev ce lo impedisce».
Non si sa quanto sia costato a Gazprom, fino ad ora, tutto questo contenzioso. Il potente CEO di Gazprom, Aleksei Miller, non lo ha rivelato. Ma qualcuno a Mosca ha fatto i conti: il tappo ucraino ha fatto perdere alle casse russe, nei diciotto anni dalla fine dell'URSS, qualche cosa come 50 miliardi di dollari tra gas trafugato lungo il tragitto, gas non pagato, gas ottenuto a prezzi di gran lunga al di sotto di quelli di mercato.



Il tutto va preso, come si suol dire, con le pinze, perché l'Ucraina fornisce dati del tutto diversi. Ma resta il fatto che Mosca non aveva alternative: i gasdotti e gli oleodotti costruiti durante l'era sovietica passavano su territorio sovietico, e su quello dei paesi amici del Patto di Varsavia. Una volta crollato il sistema chi ricevette in dono dal destino la rendita di posizione costituita da quelle tubature ha potuto giocare le sue carte: o paghi di più o non passi. Ovvero: o mi dai una parte del prodotto a prezzo ridotto o non passi. In ogni caso mi prendo qualche cosa dai tubi. E se protesti io chiudo i rubinetti e ti accuso, di fronte all'Europa, di volerci ricattare per ragioni politiche, di volerci mettere tutti a secco, al freddo e in crisi industriale, di voler imporre la tua sfera d'influenza perduta con la sconfitta nella guerra fredda.
Finché si trattava di paesi amici, controllati o controllabili, Mosca ha abbozzato, improvvisando accordi che reggevano malamente, ma reggevano. Comunque passando di crisi in crisi: circa un centinaio in quindici anni, di varia entità e gravità, variamente ridipinte dalle parti con colori politici, ma con un unico denominatore comune: pagare meno.
Con la Bielorussia di Lukashenko, per esempio , salvo qualche momento difficile, ha funzionato. Anche perchè Lukashenko ha avuto pessimi rapporti con l'Occidente e all'orizzonte resta l'ipotesi di una riunificazione Russia-Bielorussia..
Ma con l'Ucraina di Jushenko (la Julia Timoshenko ha cambiato alleanze e ora pare che stia con Mosca) il discorso è divenuto insostenibile. La “rivoluzione arancione” ha messo Kiev sotto la protezione di Washington e di Bruxelles e in rotta di adesione all'Unione Europea e di ingresso nella Nato. Cioè in rotta di collisione con Mosca. Che senso avrebbe avuto, per Mosca, continuare a fare regali per accattivarsene un'amicizia ormai impossibile?

Lavoratori russi di un impianto di produzione di gas. Foto Wintershall AG per nord-stream.com

E anche in Europa non tutti erano e sono disposti a subire il ricatto ucraino. Troppo esplicito e anche pericoloso. Perché Mosca non intende essere perdente. Quindi, se il gas non passa attraverso l'Ucraina , allora i rubinetti li chiude la Russia alla fonte. Con il risultato che non solo Kiev non riceve niente e rimane sola con il suo ricatto, ma anche l'Europa non riceve niente. La Russia ci perde, in termini di minori introiti, ma l'Europa intera rimane senza un quarto dell'energia che le serve. E domani sarà ancora peggio, secondo tutte le previsioni.
Con la prospettiva molto realistica che Mosca trovi – anzi l'ha già trovato – un compratore assetato di energia, e in grado di assorbire tutto il flusso che adesso va a ovest. Si tratta della Cina. E già altri tubi si spingono a est. Ci vorrà qualche anno, ma a questo si giungerà inesorabilmente. La sete cinese è immensa.
Così Putin ha trovato orecchie e tasche sensibili, visto che il “Nord Stream” costa oltre 10 miliardi di euro. In Germania prima di tutto. L'ex cancelliere Gerhard Schroeder in testa, divenuto il CEO del progetto. Ma anche la Merkel ha abbozzato, con dietro le industrie tedesche. E adesso Sarkozy si accoda veloce.
Se poi ci metti il “South Stream”, in alternativa al “Nabucco”, per portare il gas, sotto il Mar Nero, in Bulgaria, nei Balcani, in Grecia, in Italia (e qui Putin ha trovato l'entusiastico appoggio di Berlusconi, cioè dell'Eni, e di nuovo, di Sarkozy, ecco che si delinea una situazione in cui Mosca può fornire il suo gas (e quello che contratterà con le ex repubbliche sorelle dell'Asia Centrale) agli Europei, senza sottostare ad alcun filtro.

Ovvio che questo significherà una vera e propria rivoluzione nei rapporti tra Russia e Europa.
Ma questo non piace a Washington. Ecco perché si è alzata la voce del vecchio Zbignew Brzezinski, ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Jimmy Carter: attenzione che Mosca vuole «isolare l'Europa dell'est dall'Europa Occidentale». Segue il coro delle proteste di tutti gli “sventurati” che restano a bocca asciutta.
Urmas Paet, ministro degli esteri estone, lamenta che i paesi baltici saranno “ignorati”. In aprile 23 ex capi di stato e di governo, capeggiati da Vaclav Havel e Lech Walesa, denunciano il tentativo di Mosca di voler ««ristabilire sfere d'influenza». La tesi è una sola: l'operazione è una minaccia rivolta contro l'Europa orientale, che diventerebbe “ricattabile” e resterebbe priva di energia.
Ma è poi vero che Bruxelles non potrebbe redistribuire, secondo criteri di mercato, il gas che comunque arriverà in abbondanza da Mosca? Non si vede come la Russia potrebbe condizionare la distribuzione europea del suo gas, una volta che esso sia giunto nei terminali del “Nord Stream” e del “South Stream”.
Il ministro degli esteri polacco, Radosław Sikorski paragona il “Nord Stream” addirittura al patto Molotov – Ribbentrop.
Questi gasdotti non s'hanno da fare. Al loro posto Washington e il coro dei suoi alleati europei preferiscono il “Nabucco”, che ha il vantaggio di bypassare completamente Mosca per andare a trovare i venditori in Turkmenistan, Kazakhstan, passando ovviamente per la Georgia e la Turchia. Operazione perfetta, se non fosse che Putin e Medvedev hanno già messo a segno la loro contromossa, e hanno alleati molto potenti, per non dire decisivi, in Europa.
Succederà di sicuro qualche cosa di grosso, nei prossimi mesi. Se Putin, Berlusconi e Gerhard Schröder hanno deciso di vedersi en privé a San Pietroburgo, proprio adesso, è perché si preparano a sostenere un'offensiva potente.

venerdì 23 ottobre 2009

Precarietà della politica


di Loris Campetti, il manifesto (editoriale), 21.10.2009

Traduzione in francese di Tlaxcala: Précarité de la politique

Solo un cretino può pensare che il massimo desiderio di un operaio che lavora alla linea di montaggio, terzo livello metalmeccanico, salario di merda per un lavoro di merda, ipersfruttato e alienante, un operaio a cui è tolto persino il diritto di esprimersi sul suo contratto, abbia come sogno di restare per tutta la vita inchiodato alla catena. E magari di inchiodarci anche il figlio. E solo un cretino può credere che se quell'operaio si aggrappa alla catena, se si arrampica sul carroponte o sul tetto o sul Colosseo, o occupa l'autostrada Roma-Napoli, è perché senza lo sfruttamento selvaggio non riesce a sognare, ad amare, persino a far figli. Il fatto è che nella cultura liberista applicata al nostro paese l'unica mobilità conosciuta - l'unica flessibilità concessa - è quella in uscita: fuori dal lavoro quando non servi più e si può fare profitto senza di te. Perché la crisi devono pagarla i lavoratori, c'è da ristrutturare, da delocalizzare là dove salari e diritti valgono zero. In un paese, il nostro, dove la mobilità sociale, la ricerca, la riqualificazione non esistono. E dire che nel '68 e nel '69 qualcuno aveva provato a dire: formazione permanente, metà tempo di studio e metà di lavoro, socializzazione dei lavori nocivi, 150 ore e tante altre belle cose che quarant'anni dopo fanno arricciare il naso agli oppositori di Berlusconi.
La protesta degli operai dell'Innse (dal sito Operai Contro)      
Dopo l'occupazione del carroponte dell'Innse in agosto, sei operai dell' Esab Saldatura di Mesero, anche a Milano, sono saliti sul tetto della fabbrica in settembre. La loro protesta era contro la procedura di mobilità prevista per 85 lavoratori della storica sede locale. La causa: il rifiuto della casa madre britannica, la Charter International, dell'accordo raggiunto in Regione il 3 agosto scorso fra la Confederazione unitaria di base (Cub) e le istituzioni. (Tlaxcala)
Adesso Tremonti e Berlusconi scoprono le meraviglie del posto fisso. Proprio loro, che in buona (pessima) compagnia hanno messo al rogo non tanto la cultura del posto fisso, quanto la sicurezza del lavoro. Hanno smantellato diritti, sbrindellando i rapporti di lavoro in una cinquantina di forme contrattuali diverse, per dividere e colpire meglio, con la speranza di rovesciare il conflitto verticale capitale-lavoro in un conflitto orizzontale tra lavoratori portatori di oneri e diritti diversi. Ci sono anche riusciti, almeno in parte. E' un progetto a cui, magari con meno professionalità della destra, hanno lavorato in tanti, anche nel centrosinistra, anche nei sindacati. E vogliamo la Confindustria? Forse proprio la ricerca della legittimazione da parte degli imprenditori ha spinto le destre e molta opposizione a cavalcare, anzi a far cavalcare a chi lavora, la precarietà, vestita da flessibilità.
A Tremonti e a Berlusconi si potrebbe contestare la ricerca di rinsaldare il consenso tra le fasce «basse» del mercato del lavoro, quelle su cui stanno scaricando il peso della crisi, mentre le azioni concrete del governo salvano non i poveracci ma gli evasori fiscali. Hanno così paura dell'invasione degli alieni (leggi immigrati) notoriamente «prolifici», da risfoderare radici cattoliche e sane famiglie italiche, paffuti e abbondanti bambini bianchi che, senza alcuna certezza del futuro, i nostri giovani precari non hanno coraggio di mettere al mondo. I principi della deregulation si vestono da regolatori.
Tanto altro si potrebbe contestare a Tremonti e Berlusconi. Invece i nostri democratici spiegano che la cultura del posto fisso è vecchia e loro sono per il nuovo, che tutti i paesi che contano vanno in direzione opposta e dunque la nostra strada è segnata. Poi, se contro Tremonti e Berlusconi si arrabbia la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, non si può che fare fronte contro il governo.
L'amara considerazione è che in Italia la destra fa sia la destra che la sinistra mantenendo stretti in mano due scettri, quello della maggioranza e quello dell'opposizione per abbandono del campo da parte di quest'ultima. Il che non può non non far pensare che, semmai Berlusconi non riuscisse a concludere il mandato e fosse costretto a perdere il posto fisso a palazzo Chigi e tornarsene in villa liberandoci della sua asfissiante presenza, il merito non sarebbe dell'opposizione che non c'è. I muri, anche quelli di Arcore, prima o poi possono crollare. Ma come la storia ci ha insegnato, possono anche essere buttati giù dalla destra.