lunedì 28 dicembre 2009

Solo tra i fantasmi: 2666 di Roberto Bolaño

di Marcela VALDES. Tradotto da Manuela Vittorelli, Tlaxcala


Originale: Alone Among the Ghosts: Roberto Bolano's '2666


traduzione di  Ilide Carmignani
2009 , pp.  963
€ 22,00


La parte dell'autore
Poco prima di morire per insufficienza epatica nel luglio del 2003, Roberto Bolaño disse che avrebbe preferito il mestiere del detective a quello dello scrittore. Aveva 50 anni, ed era già ampiamente considerato il più importante romanziere latinoamericano dopo Gabriel García Márquez. Ma nell'intervista pubblicata dall'edizione messicana di “Playboy” Bolaño fu esplicito. “Mi sarebbe piaciuto essere un investigatore della omicidi, molto più che uno scrittore” disse alla rivista. “Di questo sono assolutamente sicuro. Una serie di omicidi. Qualcuno che possa tornare, nottetempo, sulla scena del delitto, e non avere paura dei fantasmi.”
I polizieschi e le uscite provocatorie erano due passioni di Bolaño – una volta definì James Ellroy uno dei migliori scrittori viventi in lingua inglese – ma il suo interesse per le storie di piedipiatti non si limitava esclusivamente alla trama e allo stile. I racconti polizieschi sono essenzialmente indagini sui moventi e i meccanismi della violenza, e Bolaño – che era andato a vivere in Messico nel 1968, l'anno del massacro di Tlatelolco, ed era finito in carcere durante il golpe militare del 1973 nel suo paese, il Cile – era ossessionato anche da questo. Il grande tema della sua opera è il rapporto tra arte e infamia, mestiere e crimine, scrittore e Stato totalitario.
Di fatto, tutti i suoi romanzi della maturità esaminano la reazione degli scrittori ai regimi repressivi. Stella distante (1996) si misura con gli squadroni della morte e i desaparecidos in Cile creando la figura di un poeta trasformatosi in serial killer. I detective selvaggi (1998) esalta una banda di giovani poeti che tenzonano contro gli scrittori finanziati dallo Stato durante gli anni delle guerre sporche del Messico. Amuleto (1999) ruota attorno a una poetessa di mezza età che sopravvive all'irruzione delle forze governative nell'Università Autonoma del Messico nascondendosi nei bagni. Notturno cileno (2000) ritrae un salotto letterario in cui gli scrittori fanno festa mentre nella stessa casa vengono torturati i dissidenti. E 2666, l'ultimo romanzo postumo di Bolaño, si ispira anch'esso a un fatto di cronaca agghiacciante: l'uccisione, a partire dal 1993, di più di 430 donne e ragazze nello Stato messicano di Chihuahua, precisamente a Ciudad Juárez.
Spesso le vittime scompaiono mentre vanno a scuola o tornano a casa dal lavoro o quando escono per andare a ballare con le amiche. Giorni o mesi dopo rispuntano i loro corpi – gettati in una fossa, nel deserto o in una discarica cittadina. Le maggioranza delle vittime è morta per strangolamento; alcune sono state accoltellate o carbonizzate o uccise con armi da fuoco. Un terzo mostra segni di stupro. Alcune recano segni di tortura. Le più anziane sono trentenni; le più giovani sono bambine delle elementari. A gennaio di quest'anno sono state uccise almeno quattro donne e ragazze. A partire dal 2002 questi omicidi hanno ispirato un film hollywoodiano (Bordertown, con Jennifer Lopez), diversi libri di saggistica, una serie di documentari e moltissime manifestazioni in Messico e all'estero. Secondo Amnesty International, più della metà dei cosiddetti “femminicidi” non ha portato a una condanna.
Bolaño era stato affascinato da questi casi irrisolti molto prima che gli omicidi diventassero una cause célèbre. Nel 1995 scrisse dalla Spagna una lettera a una vecchia amica di Città del Messico, l'artista visiva Carla Rippey (la bella Catalina O'Hara dei Detective selvaggi), alludendo al fatto che da anni lavorava a un romanzo intitolato “I dolori di un vero poliziotto”. Benché avesse altri manoscritti da sottoporre agli editori, questo libro, scrisse Bolaño, “è IL MIO ROMANZO”. Ambientato nel Nord del Messico, in una città chiamata Santa Teresa, il romanzo ruotava attorno a un professore di letteratura con una figlia quattordicenne. Il manoscritto aveva già superato le “ottocentomila pagine”, si vantava; era “un groviglio delirante che sicuramente non verrà capito da nessuno”.
<i>The Gardens of Ciudad Juárez</i>, 2006 Carla Rippey  
Carla Rippey
I giardini di Ciudad Juárez, 2006


Certo così pareva allora. Quando spedì questa lettera Bolaño aveva 43 anni, ed era più che mai vicino al fallimento. Pur avendo pubblicato due libri di poesia, scritto un romanzo a quattro mani e passato cinque anni a partecipare con i suoi racconti ai concorsi letterari spagnoli, era così al verde da non potersi neanche permettere una linea telefonica e la sua opera era praticamente sconosciuta. Tre anni prima si era separato dalla moglie; più o meno in quel periodo gli era stata diagnosticata la malattia epatica che lo avrebbe ucciso otto anni dopo. Benché Bolaño vincesse molti dei concorsi ai quali partecipava, i suoi romanzi venivano regolarmente respinti dagli editori. Ma alla fine del 1995 ebbe inizio la sua straordinaria ascesa.
Il punto di svolta fu un incontro con Jorge Herralde, fondatore e direttore di Editorial Anagrama. Herralde non riuscì ad accaparrarsi la Letteratura nazista in America – i cui diritti erano già stati acquistati da Seix Barral – ma invitò Bolaño a fargli visita a Barcellona. Lì Bolaño gli parlò dei suoi problemi finanziari e della disperazione per le molte lettere di rifiuto ricevute. “Gli dissi che [...] mi sarebbe piaciuto molto leggere i suoi altri manoscritti, e subito dopo mi portò Stella distante (scoprii in seguito che era stato anch'esso respinto da altre case editrici, compresa Seix Barral)” ricorda l'editore in un saggio. Herralde trovò il libro straordinario. Da allora pubblicò tutte le opere narrative di Bolaño: nove libri in sette anni.
A quei tempi, mentre i suoi romanzi conquistavano un numero sempre maggiore di lettori, Bolaño faticava sul suo groviglio delirante. Era un lavoro di scrittura, certo, ma anche di indagine. Ambientando il suo romanzo a Santa Teresa, una città immaginaria nel Sonora, invece che nella vera Ciudad Juárez, Bolaño poté sfumare la linea di confine tra ciò che sapeva e ciò che inventava. Ma lo preoccupava profondamente riuscire a comprendere le circostanze in cui si trovavano Juárez e i suoi abitanti. Bolaño conosceva già l'arido e desolato paesaggio della regione – aveva viaggiato nel Nord del Messico durante gli anni Settanta – ma i femminicidi erano cominciati solo sedici anni dopo la sua partenza per l'Europa, e non aveva mai visitato Juárez. Poiché non conosceva nessuno in quella città, si limitava a ciò che riusciva a trovare sui giornali e in rete. Grazie a queste fonti dovette capire che Juárez era diventata il luogo perfetto in cui commettere un crimine.
Già abbeveratoio degli americani durante il Proibizionismo, Juárez prosperò rapidamente negli anni Novanta, dopo l'entrata in vigore del NAFTA. Spuntarono centinaia di impianti di assemblaggio, che attirarono centinaia di migliaia di poveri provenienti da tutto il Messico e disposti ad accettare lavori pagati talvolta solo 50 centesimi l'ora. Le stesse caratteristiche che avevano reso Juárez appetibile agli occhi degli industriali del NAFTA – buone vie di comunicazione, vicinanza di un esteso mercato dei beni, abbondanza di manodopera non organizzata – la resero un crocevia ideale del narcotraffico. Nel 1996 per la città passavano 42 milioni di persone e 17 milioni di veicoli all'anno, rendendola uno dei più trafficati punti di transito della frontiera tra Stati Uniti e Messico e luogo ideale per gli sconfinamenti illegali. La città si trasformò in un crocevia di commerci lucrosi e illeciti; in quel momento cominciarono a spuntare i cadaveri di ragazze appartenenti a famiglie povere e operaie.
Juárez e la sua controparte immaginaria non avevano molto in comune con i centri culturali in cui Bolaño aveva ambientato la maggior parte dei suoi romanzi: perfino Stella distante si svolge nella maggiore città universitaria del Cile meridionale. Tra le baraccopoli di Santa Teresa non ci sono laboratori di scrittura né bande di poeti ribelli. Come tutta la narrativa di Bolaño, anche 2666 è pieno di scrittori, artisti e intellettuali, ma questi personaggi vengono tutti da altri luoghi: dall'Europa, il Sud America, gli Stati Uniti e Città del Messico. Intrappolata nei calanchi del Messico settentrionale, la stessa regione in cui Cormac McCarthy fa scatenare la sua banda di allegri assassini in Meridiano di sangue, Santa Teresa è un luogo letteralmente e culturalmente arido.
Il legame tra questo deserto industriale e le ambientazioni dei precedenti romanzi di Bolaño spicca, come una lettera scarlatta, sulla copertina del libro. La diabolica data 2666 – che non appare mai nelle pagine di 2666 – ci porta a scavare in Amuleto, dove spunta negli incubi lucidi di una donna chiamata Auxilio Lacouture. Auxilio è assediata da visioni infernali fin dalle prime pagine del romanzo, quando getta uno sguardo in un vaso di fiori e vede “tutto quello che la gente ha perduto, tutto quello che genera dolore e che è meglio dimenticare”.
In seguito, mentre cammina per le strade di Città del Messico, ha un'altra brutta allucinazione. È notte fonda. Le strade sono vuote e ventose. A quell'ora, dice Auxilio, l'avenida Reforma “si trasforma in un tubo trasparente, in un polmone di forma cuneiforme nel quale passano le esalazioni immaginarie della città” e l'avenida Guerrero “somiglia sopra ogni altra cosa a un cimitero […] un cimitero del 2666, un cimitero dimenticato sotto una palpebra morta o mai nata, le acquosità prive di passione di un occhio che volendo dimenticare qualcosa ha finito per dimenticare tutto”.
2666, come tutta l'opera di Bolaño, è un cimitero. Nel 1998, nel suo discorso di accettazione del Premio Rómulo Gallego, Bolaño rivelò che tutto ciò che aveva scritto era in un certo senso “una lettera d'amore o d'addio” ai giovani che erano morti nelle guerre sporche dell'America Latina. I suoi romanzi precedenti commemoravano i morti degli anni Sessanta e Settanta. Le sue ambizioni per 2666 erano più grandi: scrivere un referto d'autopsia per i morti del passato, del presente e del futuro.


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